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ANTICA


N. 107 - Novembre 2016 (CXXXVIII)

ADRIANOPOLI 9 AGOSTO 378 d.C.

LA FINE DELL’INCLUSIONE ROMANA – PARTE II
di Alessandro Ciuffetelli

 

L’inefficienza delle autorità romane nel risolvere la crisi, culminata con la sconfitta e la morte in battaglia dell’imperatore Valente, precipitò la fase più acuta e distruttiva delle invasioni barbariche che misero fine all’egemonia romana sull’Europa occidentale. Alla vigilia delle famose invasioni barbariche, l’Impero era un’entità in profonda decadenza, ma non poteva ancora essere considerato in condizioni di collassare: non era certamente in condizioni salde e floride, ma al suo interno tutti i germi che lo avrebbero condotto alla fine erano già in azione.

 

Quella di Adrianopoli, sostiene lo storico Alessandro Barbero, è una battaglia che ha cambiato la storia del mondo ma non è famosa come Waterloo o Stalingrado: anzi, molti non l’hanno mai sentita nominare. Eppure secondo qualcuno segnò addirittura la fine dell’Antichità e l’inizio del Medioevo, perché mise in moto la catena di eventi che più di un secolo dopo avrebbe portato alla caduta dell’impero romano d’Occidente. È da quel momento che possiamo iniziare a parlare di Antichità e Medioevo, di Romani e barbari, di un mondo multietnico e di un impero in trasformazione.

 

L’Imperatore, per quanto sia passato alla storia come uno dei peggiori imperatori della romanità, era più colpevole di circondarsi di funzionari corrotti, che personalmente sprovveduto; cosciente del pericolo che 200.000 Goti (anche se questa cifra comprendeva vecchi, donne e bambini) costituivano all’interno delle frontiere, domandò il supporto del nipote Graziano, l’Augusto dell’Occidente succeduto al padre Valentiniano. Nei primi giorni dell’agosto del 378 d.C. l’esercito romano di Valente, schierato attorno alla città di Adrianopoli, fronteggiava le forze gote di Fritigerno che si erano accampate su una collina a qualche decina di miglia dalla città, protette dal tradizionale grande cerchio di carri che i Romani chiamavano carrago.

 

È lecito pensare che fosse intenzione dell’imperatore d’Oriente attendere il ricongiungimento con le truppe occidentali di Graziano, che sapeva a poche giornate di marcia da lui, per ottenere una schiacciante superiorità numerica e infliggere ai Goti un colpo decisivo. L’imperatore d’Occidente, impegnato da un attacco Alamanno sul medio corso del Reno, poté muoversi solo con ritardo: nell’estate del 378, quando Valente, posto il campo a Adrianopoli, fronteggiava Fritigerno e i suoi guerrieri, le truppe occidentali si trovavano ancora in marcia lungo il Danubio, ai confini tra Pannonia e Dacia.

 

Al mattino di un caldissimo 9 di agosto le truppe romane mossero verso il campo di Fritigerno. Valente parve aver cambiato idea. Non sapremo mai con esattezza cosa fosse accaduto per far mutare d’opinione l’imperatore d’Oriente; Ammiano Marcellino, nelle sue Storie, ci parla di un prete cristiano che, portando al comando imperiale supposte offerte di trattativa da parte del capo visigoto, erroneamente informò Valente che i Goti non potevano contare su più di 20.000 uomini in grado di combattere. Probabilmente sulla scelta di Valente influì soprattutto il desiderio di ottenere una vittoria personale, senza doverne dividere il merito col nipote Graziano, Augusto d’Occidente, che già si era coperto di gloria sul limes renano. Fatto sta che dopo una marcia faticosissima, in una contrada assolata dove la calura era aumentata dagli incendi appiccati a bella posta dai Visigoti, l’esercito di Valente giunse in vista dei carri che circondavano il campo barbaro, schierandosi a battaglia con la fanteria delle legioni palatine e degli auxilia al centro e le cavallerie sui fianchi.

 

Alla vista dell’esercito romano Fritigerno, quasi privo di cavalleria poiché il contingente ostrogoto di Safrace e di Alateo era lontano dal campo in missione per recuperare quanti più viveri possibile, fece uscire i propri guerrieri dal campo schierandoli in formazione da battaglia sulle pendici della collina. Per qualche ora i due eserciti si fronteggiarono senza che nulla accadesse. Pare addirittura che in questa fase vi sia stato un incontro tra i due capi per la conclusione di una tregua che avrebbe potuto rimandare la battaglia.

 

Sempre secondo quanto ci dice Ammiano, addirittura il comes domesticorum dell’impero d’Occidente, il germano Ricomero, un alto ufficiale che Graziano aveva mandato allo zio come avanguardia delle sue truppe, si preparava a raggiungere il campo goto per intavolare una trattativa. Proprio in quel momento la tregue venne rotta e dalla sinistra romana, due reparti delle scholae, scutarii e arcieri a cavallo, entrambi contingenti di cavalleria leggera, si lanciarono di propria iniziativa all’attacco verso le linee gote. L’attacco dei due reparti isolati non poteva avere successo e subito fu respinto in disordine, ma questo movimento aveva, di fatto, aperto la battaglia che quindi iniziò con un’operazione fuori dal controllo del comando imperiale.

 

Il centro romano, formato dalla fanteria degli auxilia palatina e dalle vexillationes legionarie, attaccò con decisione il muro di scudi formato dai guerrieri goti, mentre le cavallerie romane tentavano un movimento aggirante. In un primo momento sembrò che l’attacco delle truppe di Valente avesse successo; sotto la spinta dei migliori reparti di fanteria dell’impero d’Oriente le file gote sembrarono vacillare e nel campo barbaro iniziò a serpeggiare il panico. Quando sembrava che Valente e il suo esercito potessero avere la meglio, il ritorno della cavalleria ostrogota sul campo rovesciò completamente le sorti della battaglia. I cavalieri ostrogoti, alani e unni che formavano le truppe di Safrace e di Alateo piombarono sul fianco destro dell’armata imperiale che, colto di sorpresa, non resse all’urto.

 

Lo stesso Valente si mise alla testa della riserva, costituita dalle legioni palatine, per cercare di chiudere la falla. Il combattimento si fece animato e violentissimo, la falla si ampliò sempre più e non fu possibile porre un argine: già affaticato dalla marcia, duramente impegnato sul fronte dalla tenace fanteria gota, l’esercito romano fu travolto e solo i reparti dell’ala sinistra riuscirono a ripiegare in disordine sfuggendo alla carneficina. Si dice che Valente riuscisse in un primo momento a mettersi in salvo. Riuscì a raggiungere la tenda imperiale e qui si attestasse con pochi uomini raggiunto dalla notizia che Graziano era ormai sopraggiunto. Anche questa fu una falsa informazione che gli fu fatale. Assieme all’imperatore, il cui corpo non fu mai ritrovato, caddero sul campo di Adrianopoli due comites, tre duces, trentacinque tribuni e più di 20.000 uomini. Anche se le perdite gote (di cui non possediamo nessuna stima) dovettero essere alte, si trattò della peggior disfatta subita da un’armata romana fin dai tempi di Canne.

 

Teodosio, il successore di Valente, nominato Augusto per l’Oriente da Graziano, dopo un triennio di guerre contro Fritigerno, la cui autorità tra i clan goti nonostante la vittoria si era andata indebolendo, concluse coi Goti un trattato di pace. Con la pace ai Goti erano riconosciute le terre che essi avevano occupato sotto Valente ma l’insediamento germanico dentro i confini dell’impero era, di fatto, una signoria indipendente, che solo formalmente ed in modo vago riconosceva la supremazia di Costantinopoli. Fu da questo momento che l’impero sia ad Occidente diversamente da quello d’Oriente andò assumendo quella forma di confederazione di potentati, di solito germanici, che contraddistingueranno i suoi ultimi decenni, prefigurando la geografia politica dell’Europa dei regni barbarici. Anche l’esercito cambiò dopo Adrianapoli: la germanizzazione delle armate romane, già avviata, ebbe ulteriore impulso.

 

Nei ranghi come tra gli ufficiali la presenza di Germani di varie etnie diventò via via più preponderante. Saranno proprio questi soldati germani che, con onore, si batteranno fino all’ultimo giorno per tenere alte le insegne e gli ideali di un impero che andava ogni giorno spegnendosi. La conseguenza di Adrianopoli fu decisiva per la storia romana. Il governo fu costretto a stringere accordi in base ai quali i goti (e dopo di loro tutti gli altri popoli provenienti dall’esterno dell’impero) potevano restare nel territorio imperiale, ma a condizioni ben diverse da quelle fino ad allora riservate agli immigrati. I Goti, da quel momento, avrebbero potuto vivere tutti insieme, armati e stipendiati dallo stato romano: dopo anni di conflittualità più o meno latente, di ostilità e sospetto da una parte e dall’altra, di continui incidenti, la soluzione fu alla fine trovata nello stanziamento dei Goti in una provincia romana, la Gallia del sud, che di fatto si distaccò dall’impero, costituendo il primo regno romano-barbarico. Su quel modello, nel corso del secolo V tutto l’Occidente venne assegnato a popoli barbari e di fatto si frantumò.

 

La battaglia di Adrianopoli ebbe un impatto non solo nell’esercito romano ma anche nella società; l’impero non perse solo una battaglia, bensì per la prima volta nella sua storia, in seguito alle trattative di pace, dovette accettare che al suo interno si stabilisse una comunità di barbari su cui l’autorità politica dell’impero non poteva avere l’ultima parola. In poche parole erano indipendenti e ciò ne condizionò per sempre la sua storia.

 

Se la parte orientale del mondo romano seppe sfruttare la disfatta di Adrianopoli accogliendo il nuovo imperatore Teodosio e le sue riforme come inizio di una nuova fase storica, la parte occidentale retta da Onorio cadde sotto i colpi dei continui scontri tra militari che si contendevano il governo effettivo dello Stato. Dopo il crollo definitivo delle frontiere della Britannia e del Reno, entrerò in una fase di impotenza e sottomissione nei confronti delle tribù germaniche che ne occuparono porzioni di territorio sempre più importanti arrivando a saccheggiare la stessa Roma nel 410 d.C.

 

Per questo la disfatta di Adrianopoli fu decisiva, uno snodo storico che in poco più di mezzo secolo portò l’impero d’occidente ad essere sostituito dai regni romano-germanici,embrioni nascenti delle future entità statali dell’Europa medievale. Sopravvisse solo Costantinopoli come eredità dell’impero romano che riuscirà a liberarsi definitivamente dell’elemento germanico all’interno dei propri confini e a mantenere potenza e prestigio,appoggiandosi alle solide fondamenta delle riforme teodosiane. In occidente i discendenti di Teodosio regneranno fino alla metà del secolo V sia nella corte d’occidente che in quella d’oriente, e fino ai regni di Giustiniano e di Eraclio non vi saranno ulteriori riforme di pari portata e importanza.

 

Il risentimento covato dai Goti li portò dal desiderare di divenire romani al desiderio di annientare i romani. Fu con questa rabbia covata a lungo che sterminarono gli eserciti di Valente. Nella gestione dei flussi migratori, oggi, ci si prospettano due strade: quella dell’inclusione, e quella del rifiuto e del respingimento. Se è vero che la storia è magistra vitae, abbiamo già visto che in entrambe le vie sono aperte purché da intraprendere con correttezza e senza soprusi.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Barbero, 9 agosto 378. Il giorno dei barbari, Laterza, 2012
G. Cervo, Le mura di Adrianopoli, Piemme, 2009
A. Defilippi, Danubio rosso.
L’alba dei barbari, Mondadori, 2012
A. Goldsworthy, How Rome Fell: Death of a Superpower, Yale University Press, 2009

S. Macdowall, Howard Gerrard Adrianople AD 378. The Goths crush Rome’s Legions, Osprey, 2011
Ammiano Marcellino, Rerum gestarum libri, liber XXXI, UTET, 2014

W. Pohl, Le origini etniche dell’Europa. Barbari e Romani tra antichità e medioevo, Roma, Viella, 2000



 

 

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