Adrianopoli, 378 d.C.
la battaglia che spezzò l’Impero
Romano
di Riccardo
Renzi
Nel 376 d.C., l’Impero Romano
d’Oriente aprì le sue porte a
migliaia di profughi goti in fuga
dagli Unni. Quella che doveva essere
un’operazione di accoglienza e
integrazione si trasformò in una
crisi sistemica: corruzione, cattiva
gestione e un’arroganza politica
diffusa innescarono una catena di
eventi culminata nella disastrosa
battaglia di Adrianopoli nel 378.
Questa sconfitta segnò non solo la
morte dell’imperatore Valente, ma
anche la rottura definitiva
dell’equilibrio romano tardo-antico.
Ma quali furono le dinamiche
politiche, militari e sociali che
portarono a questo scontro epocale,
vero spartiacque tra il mondo
classico e l’inizio della sua
dissoluzione?
Nella seconda metà del IV secolo
d.C., l’Impero Romano si presentava
come una struttura imponente ma già
scossa da profonde tensioni interne
ed esterne. I confini erano sempre
più porosi, le pressioni delle
popolazioni migranti lungo il
limes danubiano sempre più
insistenti, e la capacità imperiale
di rispondere in modo coerente e
coordinato appariva drammaticamente
compromessa.
Fu in questo contesto che, nel 376,
un evento apparentemente
amministrativo – l’autorizzazione
concessa ai Goti di attraversare il
Danubio – divenne la miccia che fece
esplodere una crisi militare e
culturale senza precedenti.
I Tervingi, un ramo della
popolazione gotica, guidati dai capi
Fritigerno e Alavivo, chiesero
rifugio all’Impero d’Oriente per
fuggire dalla pressione militare
degli Unni. L’imperatore Valente,
allora impegnato sul fronte
orientale contro i Persiani, vide
nella loro richiesta un’opportunità:
nuove braccia per le terre
abbandonate, e nuovi soldati per le
legioni.
Ma le condizioni poste – disarmo,
conversione al cristianesimo (di
matrice ariana), e consegna di
ostaggi – rimasero in gran parte
sulla carta. L’attraversamento del
Danubio fu mal gestito, privo di
controllo numerico, logistico e
militare. Ufficiali corrotti, come
il comes Thraciae Flavio Lupicino,
approfittarono della situazione per
arricchirsi, lasciando intere
comunità senza cibo, né terre, né
dignità.
Gli storici antichi, come Ammiano
Marcellino, descrivono episodi di
inaudita crudeltà: bambini barattati
per carne di cane, insulti culturali
e una gestione tanto inumana quanto
miope. L’idea romana di trasformare
i Goti in coloni e soldati si rivelò
presto un fallimento.
L’episodio decisivo fu il tentativo
di eliminare i capi goti con
l’inganno: Lupicino li invitò a un
banchetto con l’intento di
assassinarli. Ma il piano fallì, e
innescò l’inevitabile sollevazione.
I Goti, affamati e umiliati,
passarono alla guerriglia. Ebbe così
inizio la guerra gotica, destinata a
sconvolgere la Tracia.
La prima grande vittoria di
Fritigerno avvenne presso
Marcianopoli, dove l’esercito romano
fu sconfitto. I Goti, ormai uniti
sotto una leadership solida e capaci
di sfruttare la mobilità e la
conoscenza del territorio, si
spostarono rapidamente, evitando lo
scontro diretto quando necessario e
colpendo con precisione i centri
nevralgici dell’Impero.
Valente, rientrato a occuparsi della
crisi, si trovò di fronte a una
situazione drammatica. Le legioni
erano demoralizzate, i generali
divisi, e la popolazione locale
ostile sia ai Goti sia all’autorità
centrale. Le sconfitte subite, come
ad Ad Salices, confermarono
l’incapacità dell’esercito romano di
adattarsi a una guerra mobile e
destrutturata.
I tentativi di contenimento – la
costruzione di fortificazioni nei
passi balcanici, la difesa delle
città – si rivelarono inefficaci. I
Goti, riforniti da alleati come gli
Alani e i Grutungi, attraversavano
le linee e devastavano le campagne.
La guerra si trasformò in una
spirale di devastazione e terrore.
Nel pieno della crisi, Valente
decise di affrontare direttamente i
Goti presso Adrianopoli, senza
attendere i rinforzi promessi da
Graziano, imperatore dell’Occidente.
Convinto da consiglieri opportunisti
di avere la vittoria in pugno, si
mosse con circa 40.000 uomini.
Dall’altra parte, Fritigerno poteva
contare su circa 50.000 combattenti,
tra cui una potente cavalleria
composta da Alani, Goti e disertori
romani. Usò l’ambasceria di preti
ariani per prendere tempo e
attendere il ritorno dei cavalieri
dispersi.
L’attacco romano fu disorganizzato:
la cavalleria leggera lanciò
un’offensiva senza ordini,
costringendo il grosso dell’esercito
a schierarsi in fretta sotto un sole
cocente e senza approvvigionamenti.
I Goti colsero l’attimo: la loro
cavalleria sopraggiunse
all’improvviso, accerchiando la
fanteria romana. Il risultato fu un
massacro. L’esercito romano fu
annientato. Valente morì sul campo –
forse in battaglia, forse bruciato
vivo in un edificio assediato. Con
lui perirono circa 30.000 soldati,
tra cui i più valorosi veterani
dell’Impero. Adrianopoli fu più che
una sconfitta: fu un collasso
strutturale.
Fine del mito dell’invincibilità
romana
Adrianopoli infranse una certezza:
per la prima volta dalla battaglia
di Canne, Roma fu distrutta in campo
aperto da un nemico barbaro.
Cambio di paradigma imperiale
Graziano, consapevole della
catastrofe, affidò l’Impero
d’Oriente a Teodosio. Questi
comprese l’impossibilità di
contenere militarmente le
popolazioni migranti e avviò una
nuova strategia: non più opposizione
frontale, ma integrazione politica e
militare.
Barbarizzazione dell’esercito
I Goti furono riconosciuti come
foederati: alleati armati con
autonomia e comando proprio.
L’esercito romano divenne una
coalizione etnica instabile, in cui
la lealtà era spesso negoziata più
che garantita.
Verso la caduta dell’Occidente
Mentre l’Oriente riuscì a
ristrutturarsi e sopravvivere,
l’Occidente, privo di coesione
politica e sotto continua pressione
barbarica, entrò in una fase di
lento ma inarrestabile declino. Nel
476, con la deposizione di Romolo
Augustolo da parte di Odoacre,
l’Impero romano d’Occidente cessò
formalmente di esistere.
Adrianopoli non fu solo la fine di
Valente. Fu la fine di un’intera
visione del potere romano:
imperiale, centralizzato,
invincibile. La crisi migratoria,
gestita con superficialità e
arroganza, rivelò tutte le fragilità
dell’apparato imperiale: corruzione,
incompetenza, incapacità di
comprendere la portata delle
trasformazioni in atto. La battaglia
del 378 fu il segnale inequivocabile
che l’età classica stava per
concludersi. Iniziava così il lungo
e tormentato cammino verso il
Medioevo, segnato non solo da nuove
guerre, ma da una nuova idea di
Europa: frammentata, etnicamente
mista, e ormai orfana del suo cuore
romano.