[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 212 / AGOSTO 2025 (CCXLIII)


antica

Adrianopoli, 378 d.C.
la battaglia che spezzò l’Impero Romano
di Riccardo Renzi

 

Nel 376 d.C., l’Impero Romano d’Oriente aprì le sue porte a migliaia di profughi goti in fuga dagli Unni. Quella che doveva essere un’operazione di accoglienza e integrazione si trasformò in una crisi sistemica: corruzione, cattiva gestione e un’arroganza politica diffusa innescarono una catena di eventi culminata nella disastrosa battaglia di Adrianopoli nel 378. Questa sconfitta segnò non solo la morte dell’imperatore Valente, ma anche la rottura definitiva dell’equilibrio romano tardo-antico. Ma quali furono le dinamiche politiche, militari e sociali che portarono a questo scontro epocale, vero spartiacque tra il mondo classico e l’inizio della sua dissoluzione?

Nella seconda metà del IV secolo d.C., l’Impero Romano si presentava come una struttura imponente ma già scossa da profonde tensioni interne ed esterne. I confini erano sempre più porosi, le pressioni delle popolazioni migranti lungo il limes danubiano sempre più insistenti, e la capacità imperiale di rispondere in modo coerente e coordinato appariva drammaticamente compromessa.

Fu in questo contesto che, nel 376, un evento apparentemente amministrativo – l’autorizzazione concessa ai Goti di attraversare il Danubio – divenne la miccia che fece esplodere una crisi militare e culturale senza precedenti.

I Tervingi, un ramo della popolazione gotica, guidati dai capi Fritigerno e Alavivo, chiesero rifugio all’Impero d’Oriente per fuggire dalla pressione militare degli Unni. L’imperatore Valente, allora impegnato sul fronte orientale contro i Persiani, vide nella loro richiesta un’opportunità: nuove braccia per le terre abbandonate, e nuovi soldati per le legioni.

Ma le condizioni poste – disarmo, conversione al cristianesimo (di matrice ariana), e consegna di ostaggi – rimasero in gran parte sulla carta. L’attraversamento del Danubio fu mal gestito, privo di controllo numerico, logistico e militare. Ufficiali corrotti, come il comes Thraciae Flavio Lupicino, approfittarono della situazione per arricchirsi, lasciando intere comunità senza cibo, né terre, né dignità.

Gli storici antichi, come Ammiano Marcellino, descrivono episodi di inaudita crudeltà: bambini barattati per carne di cane, insulti culturali e una gestione tanto inumana quanto miope. L’idea romana di trasformare i Goti in coloni e soldati si rivelò presto un fallimento.

L’episodio decisivo fu il tentativo di eliminare i capi goti con l’inganno: Lupicino li invitò a un banchetto con l’intento di assassinarli. Ma il piano fallì, e innescò l’inevitabile sollevazione. I Goti, affamati e umiliati, passarono alla guerriglia. Ebbe così inizio la guerra gotica, destinata a sconvolgere la Tracia.

La prima grande vittoria di Fritigerno avvenne presso Marcianopoli, dove l’esercito romano fu sconfitto. I Goti, ormai uniti sotto una leadership solida e capaci di sfruttare la mobilità e la conoscenza del territorio, si spostarono rapidamente, evitando lo scontro diretto quando necessario e colpendo con precisione i centri nevralgici dell’Impero.

Valente, rientrato a occuparsi della crisi, si trovò di fronte a una situazione drammatica. Le legioni erano demoralizzate, i generali divisi, e la popolazione locale ostile sia ai Goti sia all’autorità centrale. Le sconfitte subite, come ad Ad Salices, confermarono l’incapacità dell’esercito romano di adattarsi a una guerra mobile e destrutturata.

I tentativi di contenimento – la costruzione di fortificazioni nei passi balcanici, la difesa delle città – si rivelarono inefficaci. I Goti, riforniti da alleati come gli Alani e i Grutungi, attraversavano le linee e devastavano le campagne. La guerra si trasformò in una spirale di devastazione e terrore.

Nel pieno della crisi, Valente decise di affrontare direttamente i Goti presso Adrianopoli, senza attendere i rinforzi promessi da Graziano, imperatore dell’Occidente. Convinto da consiglieri opportunisti di avere la vittoria in pugno, si mosse con circa 40.000 uomini.

Dall’altra parte, Fritigerno poteva contare su circa 50.000 combattenti, tra cui una potente cavalleria composta da Alani, Goti e disertori romani. Usò l’ambasceria di preti ariani per prendere tempo e attendere il ritorno dei cavalieri dispersi.

L’attacco romano fu disorganizzato: la cavalleria leggera lanciò un’offensiva senza ordini, costringendo il grosso dell’esercito a schierarsi in fretta sotto un sole cocente e senza approvvigionamenti. I Goti colsero l’attimo: la loro cavalleria sopraggiunse all’improvviso, accerchiando la fanteria romana. Il risultato fu un massacro. L’esercito romano fu annientato. Valente morì sul campo – forse in battaglia, forse bruciato vivo in un edificio assediato. Con lui perirono circa 30.000 soldati, tra cui i più valorosi veterani dell’Impero. Adrianopoli fu più che una sconfitta: fu un collasso strutturale.

Fine del mito dell’invincibilità romana


Adrianopoli infranse una certezza: per la prima volta dalla battaglia di Canne, Roma fu distrutta in campo aperto da un nemico barbaro.

Cambio di paradigma imperiale


Graziano, consapevole della catastrofe, affidò l’Impero d’Oriente a Teodosio. Questi comprese l’impossibilità di contenere militarmente le popolazioni migranti e avviò una nuova strategia: non più opposizione frontale, ma integrazione politica e militare.

Barbarizzazione dell’esercito


I Goti furono riconosciuti come foederati: alleati armati con autonomia e comando proprio. L’esercito romano divenne una coalizione etnica instabile, in cui la lealtà era spesso negoziata più che garantita.

Verso la caduta dell’Occidente


Mentre l’Oriente riuscì a ristrutturarsi e sopravvivere, l’Occidente, privo di coesione politica e sotto continua pressione barbarica, entrò in una fase di lento ma inarrestabile declino. Nel 476, con la deposizione di Romolo Augustolo da parte di Odoacre, l’Impero romano d’Occidente cessò formalmente di esistere.

Adrianopoli non fu solo la fine di Valente. Fu la fine di un’intera visione del potere romano: imperiale, centralizzato, invincibile. La crisi migratoria, gestita con superficialità e arroganza, rivelò tutte le fragilità dell’apparato imperiale: corruzione, incompetenza, incapacità di comprendere la portata delle trasformazioni in atto. La battaglia del 378 fu il segnale inequivocabile che l’età classica stava per concludersi. Iniziava così il lungo e tormentato cammino verso il Medioevo, segnato non solo da nuove guerre, ma da una nuova idea di Europa: frammentata, etnicamente mista, e ormai orfana del suo cuore romano.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]