Adolf Eichmann
											Sulle domande di grazia per la 
											condanna a morte
											
											di Francesco Cappellani
											
											
											
											Adolf Eichmann fu uno dei massimi 
											artefici ed esecutore della 
											“soluzione finale della questione 
											ebraica” (Endlösung der Judenfrage) 
											decisa nella conferenza di Wannsee, 
											un sobborgo berlinese, del 20 
											gennaio 1942, che, nel verbale 
											redatto dallo stesso Eichmann, 
											pianificava lo sterminio fisico 
											mediante deportazione, destinazione 
											ai lavori forzati ed infine 
											eliminazione totale di 11 milioni di 
											ebrei, elencati per nazione a 
											partire dai 5.000.000 di russi ai 
											200 albanesi. Nel 1939 era stato 
											istituito l’RSHA (Reichssicherhaitshautant) 
											(Ufficio Centrale di Sicurezza del 
											Reich), Eichmann venne assegnato al 
											dipartimento Amt 4 Geheime 
											Staatpolizei (Polizia Politica), 
											Gestapo, a capo della sezione IV-B4 
											“Questioni Ebraiche ed Evacuazione”. 
											Grazie a questo incarico ebbe mano 
											libera nell’organizzare 
											minuziosamente e coordinare i 
											carichi di deportati che 
											cominciarono a confluire verso i 
											campi di concentramento e di 
											sterminio da tutta Europa.
											
											
											
											Finita la guerra Eichmann, toltasi 
											la divisa di Obersturmbannführer 
											(tenente colonnello ) delle SS, da 
											Praga, dove risiedeva dal 1939 con 
											la moglie Vera, sposata nel 1935, ed 
											i suoi tre figli, inizia una lunga 
											fuga, dopo che la famiglia si era 
											trasferita in Austria ad Altaussee. 
											Si dirige in Austria per 
											consigliarsi con Kaltenbrunner, il 
											capo dell’RSHA, avviandosi poi a 
											piedi verso Bad Ischl dove viene 
											fermato da una pattuglia americana 
											che lo lascia proseguire, ma una 
											seconda pattuglia lo ferma e lo 
											rinchiude in un campo di transito. 
											Sottoposto a visita medica, si 
											scopre il tatuaggio del gruppo 
											sanguigno che era norma comune per 
											gli ufficiali delle SS per cui deve 
											confessare di aver fatto parte di un 
											reparto di Waffen-SS. Internato nel 
											campo di prigionia di Weiden 
											dichiara di chiamarsi Otto Eckmann e 
											di essere originario di Breslavia; 
											nel luglio del 1945 è trasferito al 
											campo permanente di Oberdachstetten 
											dove è interrogato ripetutamente dal 
											servizio di controspionaggio alleato 
											che non riesce né a contestargli la 
											mancanza di documenti né a 
											ipotizzare chi potesse essere in 
											realtà quell’incolore ufficiale con 
											una logora uniforme 
											dell’aeronautica.
											
											 
											
											
											La tranquilla vita di Eckmann cambia 
											quando inizia nel novembre del 1945 
											il Processo di Norimberga dove, fin 
											dalle prime giornate, il nome di 
											Eichmann come colpevole dello 
											sterminio di milioni di ebrei viene 
											ripetutamente citato soprattutto da 
											un suo ex-collega, il capitano delle 
											SS Dieter Wisliceny che aveva 
											operato, quale suo rappresentante, 
											per la “soluzione finale” in 
											Slovacchia, Grecia ed Ungheria: 
											nella seduta del 3 gennaio 1946 il 
											capitano descrive in dettaglio 
											l’attività criminale dell’ 
											Obersturmbannführer. Wisliceny sarà 
											condannato a morte e impiccato a 
											Bratislava nel 1948. Eichmann viene 
											a conoscenza del processo e capisce 
											che deve fuggire dal campo, ci 
											riesce grazie all’aiuto di altri 
											ufficiali nazisti prigionieri che 
											gli prepararono documenti falsi a 
											nome Otto Heninger, e gli trovano 
											rifugio presso un simpatizzante 
											nazista a Prien. Da lì, dopo un mese 
											e mezzo, si sposta a Celle, nella 
											Bassa Sassonia, accolto dal 
											guardaboschi fratello di un suo 
											compagno di prigionia, dove si 
											nasconde per tre anni facendo il 
											boscaiolo senza mai dare notizie di 
											sé alla famiglia. Nel maggio del 
											1945 la moglie Vera era stata 
											facilmente rintracciata dagli 
											Alleati in Austria, ed interrogata a 
											lungo anche negli anni successivi 
											sulla sorte del marito; lei aveva 
											spiegato che avevano divorziato e 
											che, secondo la testimonianza di un 
											ufficiale ceco suo cognato, Eichmann 
											era stato ucciso il 28 aprile 1945 a 
											Praga e lei ne aveva registrato il 
											decesso presso le autorità di Bad 
											Ischl nel 1947. Come si seppe poi, 
											pare che la moglie fosse realmente 
											convinta della fine del marito.
											
											
											
											Nel 1949 Eichmann decide che era 
											arrivato il momento di tentare una 
											fuga definitiva verso un paese dove 
											potere vivere in libertà e 
											ricongiungersi con la famiglia. 
											Sapeva che esistevano organizzazioni 
											naziste clandestine che 
											provvedevano, mediante agenti 
											soprattutto in Svizzera ed in 
											Italia, ad organizzare il viaggio di 
											ex-gerarchi verso paesi del Medio 
											Oriente o per l’Argentina di Juan 
											Domingo Peron nota per la sua 
											benevola ospitalità verso tanti 
											criminali nazisti nel dopoguerra. La 
											più efficiente era ODESSA (Organisation 
											der Ehemaligen SS Angehöerige) 
											(Organizzazione di ex-membri delle 
											SS) ed Eichmann la contatta agli 
											inizi del 1950. In maggio lascia 
											Celle ed entra in Italia attraverso 
											l’Austria spostandosi a Genova 
											accolto da un frate francescano di 
											simpatie naziste che collaborava per 
											il successo di queste fughe. Già nel 
											1948 aveva ottenuto grazie 
											all’appoggio di Alois Pompanin, 
											vicario generale della diocesi di 
											Bressanone e noto collaborazionista 
											nazista, un documento d’identità 
											rilasciato dalla Croce Rossa 
											Internazionale a nome Ricardo 
											Klement nato a Termeno (BZ) il 23 
											maggio 1913.
											
											 
											
											
											Tramite il Centro Soccorso Profughi 
											del Vaticano, riceve ai primi di 
											Giugno 1950 un passaporto intestato 
											a Ricardo Klement ed una settimana 
											dopo il visto argentino. Il 17 
											Giugno Eichmann salpa per 
											l’Argentina rimanendo alcuni mesi a 
											Buenos Aires presso amici della 
											ricca colonia tedesca di quella 
											città. Si trova in seguito un lavoro 
											a Tucuman e nel 1951 scrive alla 
											moglie di raggiungerlo in Argentina 
											in massima segretezza temendo che la 
											stessero sorvegliando, senza nulla 
											dire ai bambini. Vera tramite un 
											ufficio speciale di Zurigo per le 
											domande di passaporto per profughi 
											tedeschi residenti all’estero, 
											ottiene il passaporto a suo nome, 
											Veronica Liebl e per i figli Klaus, 
											Dieter e Horst, col cognome Eichmann. 
											Scompare da Altaussee senza che 
											nessuno controlli e sappia perché e 
											dove sia andata. Questa leggerezza 
											nella sorveglianza causerà un 
											ritardo di otto anni nella cattura 
											di Eichmann. Imbarcatasi a Genova ai 
											primi di luglio raggiunge il marito 
											a Tucuman nell’agosto del 1952 dopo 
											sette anni dal loro ultimo incontro 
											per poi, avendo Eichmann trovato 
											posto come caporeparto presso la 
											filiale della Mercedes Benz a Buenos 
											Aires, trasferirsi nella capitale 
											Argentina. Nel 1955 nascerà il 
											quarto figlio che si chiamerà 
											Ricardo Francisco Klement.
											
											
											
											La quieta vita sudamericana di 
											Eichmann è interrotta nel pomeriggio 
											dell’11 maggio 1960 dall’intervento 
											di alcuni uomini del Mossad che lo 
											rapiscono al ritorno dal lavoro e 
											nove giorni dopo lo trasferiscono in 
											Israele a bordo di un aereo 
											israeliano, anestetizzato e 
											travestito da pilota della El Al. Fu 
											un vero “kidnapping” in quanto 
											l’Argentina non avrebbe mai dato il 
											permesso per una normale 
											estradizione, ne seguirono infatti 
											per qualche mese attriti tra il 
											governo Argentino ed Israele. Come 
											sia arrivato il Mossad a catturare 
											dopo ben 15 anni dalla fine della 
											guerra il criminale nazista lo si 
											deve non a qualche 
											superinvestigatore israeliano ma ad 
											un ebreo tedesco, Lothar Hermann, 
											divenuto cieco dopo le torture 
											subite nel campo di concentramento 
											di Dachau, rifugiatosi in Argentina 
											a Buenos Aires dopo la tragica 
											Kristallnacht nel 1938. Nel 1956 
											Sylvia, la bella figlia di Hermann, 
											aveva stretto amicizia con i figli 
											di Klement, in particolare col 
											maggiore Klaus che le aveva 
											raccontato del suo cognome Eichmann 
											e del suo antisemitismo. Sylvia non 
											era mai andata a casa Klement e non 
											sapeva che il padre di Klaus vivesse 
											sotto falso nome. La famiglia 
											Hermann si trasferisce in seguito a 
											Coronel Suarez a 300 miglia dalla 
											capitale, perdendo i contatti con la 
											famiglia Klement, ma nel 1957 il 
											nome del criminale Eichmann appare 
											sui giornali per un processo in 
											corso a Francoforte.
											
											 
											
											
											Hermann inizia a sospettare che 
											quell’uomo possa essere il padre di 
											Klaus, scrive al giudice del 
											processo una lettera dove afferma di 
											ritenere che Eichmann si trovi in 
											Argentina. Il giudice inoltra la 
											missiva al Procuratore Generale del 
											distretto dell’Assia Fritz Bauer che 
											dava la caccia ai nazisti fuggiti 
											dalla Germania, il quale esorta 
											Hermann a procurarsi l’indirizzo di 
											Eichmann a Buenos Aires. Sylvia si 
											reca nella capitale e trova 
											facilmente l’abitazione del 
											ricercato, bussa alla porta 
											chiedendo di Klaus, un uomo le 
											risponde che non c’era in quanto 
											lavorava fuori fino a tardi, al che 
											lei chiede “Lei è il signor Eichmann?”, 
											l’uomo non risponde ma poi fa capire 
											che è il padre di Klaus. Sylvia gli 
											dice che avrebbe voluto rivedere 
											Klaus, poi saluta cordialmente e se 
											ne va. Hermann spedisce 
											immediatamente una lettera a Bauer 
											dicendosi sicuro di avere 
											identificato Eichmann e fornendone 
											l’indirizzo esatto.
											
											 
											
											
											Bauer, non fidandosi della polizia 
											tedesca, informa Israele nel 
											settembre del 1957 ma il Mossad 
											accoglie la notizia con un certo 
											distacco, manda uno dei suoi a 
											Buenos Aires nel gennaio del 1958 
											per investigare sulla veridicità 
											delle affermazioni di Hermann, e 
											conclude che l’indirizzo si riferiva 
											ad una zona molto modesta della 
											metropoli ed era impossibile che un 
											uomo del rango di Eichmann potesse 
											vivere lì. Ma Bauer non demorde ed 
											insiste, il Mossad invia una seconda 
											missione per contattare Hermann e la 
											figlia Sylvia ed avere da loro delle 
											prove definitive. Anche questa volta 
											il Mossad non sembra convinto allora 
											Hermann, stimolato dalla lettura sui 
											giornali che Tuviah Friedman dell’Haifa 
											Documentation Centre in Israele 
											offriva una ricompensa di 10.000 $ 
											per la cattura di Eichmann, scrive 
											il 17 ottobre 1959 una prima lettera 
											a Friedmann dicendo che possedeva 
											dettagli esatti di Eichmann ed una 
											seconda nel marzo del 1960 molto 
											dura: “Sembra che lei dia poco 
											valore ad una rapida conclusione 
											della questione o che non abbia 
											alcun interesse ad arrestare 
											Eichmann”.
											
											 
											
											
											A questo punto il Mossad si prepara 
											per la missione che porterà alla 
											cattura definitiva di Klement/Eichmann. 
											Gli uomini del Mossad arrivano a 
											Buenos Aires e cominciano a seguire 
											e registrare i movimenti di Klement 
											fotografandolo di nascosto. 
											Confrontano le foto con quelle che 
											hanno in repertorio che sono però di 
											troppi anni fa (Eichmann aveva 
											accuratamente distrutto le sue 
											immagini del dopoguerra) per cui la 
											somiglianza tra un aitante ufficiale 
											in divisa e quell’uomo magro e 
											stempiato appare discutibile. Una 
											sera vedono Klement scendere 
											dall’autobus dirigendosi verso casa 
											con un gran mazzo di fiori. 
											Consultano i dati biografici del 
											fuggitivo e si accorgono che in quel 
											giorno, il 21 marzo, erano state 
											celebrate 25 anni fa le nozze di 
											Eichmann con Vera. Non ci sono più 
											dubbi: è proprio lui, mandano un 
											telegramma al Mossad in Israele: 
											“Ha’ish hu ha’ish “ (l’uomo è 
											l’uomo).
											
											
											
											Il pomeriggio del 23 maggio 1960, 
											mentre alla Knesset, il Parlamento 
											israeliano, era in corso un 
											dibattito sul bilancio, Ben Gurion 
											prese la parola e annunciò che era 
											stato catturato Adolf Eichmann «uno 
											dei più grandi criminali di guerra 
											nazisti» e che era «già in Israele 
											in stato d’arresto».Non disse però, 
											come sottolinea Uki Goni, che un 
											cieco “aveva realizzato ciò che 
											sembrava impossibile. Non solo era 
											riuscito a scovare da solo un noto 
											criminale nazista, ma era anche 
											riuscito a galvanizzare un letargico 
											Mossad, che aveva dimostrato 
											decisamente poco interesse nel 
											portare avanti il caso”. Il 
											fondamentale contributo di Hermann 
											rimase secretato in Israele fino al 
											1971 quando il direttore del Mossad 
											Isser Harel lo rivelò alla stampa. 
											Hermann allora riprese a bombardare 
											Friedmann per avere la sua 
											ricompensa che gli fu finalmente 
											concessa nel luglio 1972 dal primo 
											ministro israeliano Golda Meier.
											
											
											
											La notizia dell’arresto di Eichmann 
											fece enorme scalpore in Israele ma 
											soprattutto il successivo lungo 
											processo trasmesso in televisione ed 
											articolato con centinaia di 
											documenti, di dichiarazioni di 
											sopravvissuti e le tragiche immagini 
											dei deportati e delle montagne di 
											cadaveri, ebbe una vastissima 
											risonanza mediatica e tutto il mondo 
											dovette riconsiderare l’enormità 
											dell’olocausto nella sua immane 
											dimensione ed efferata crudeltà. Il 
											processo iniziò il 10 aprile 1960 e 
											si protrasse fino al 15 dicembre 
											1961 quando il Tribunale 
											Distrettuale di Gerusalemme emise la 
											sentenza di condanna a morte per 
											impiccagione che sarà confermata 
											dalla Suprema Corte oltre cinque 
											mesi dopo, il 29 maggio 1962. La 
											sentenza venne eseguita intorno alla 
											mezzanotte dell’1 giugno 1962 nel 
											carcere di Ramla. Nei mesi tra la 
											sentenza di primo grado e la sua 
											esecuzione, si levarono varie voci, 
											anche di intellettuali ebrei, che, 
											pur riconoscendo la totale 
											colpevolezza di Eichmann, erano in 
											disaccordo con la condanna a morte. 
											Tra coloro che si opposero alla 
											decisione del Tribunale vi furono lo 
											scrittore Arthur Koestler, lo 
											storico inglese Arnold Toynbee, la 
											poetessa Nelly Sachs, sopravvissuta 
											all’olocausto, premio Nobel nel 
											1966, che scrisse al Primo Ministro 
											dicendo che essendo stata lei una 
											vittima del Nazismo, lo implorava di 
											non giustiziare Eichmann per 
											sottolineare il bene nel mondo 
											contro il male, e la scrittrice 
											americana Pearl S. Buck, che 
											sosteneva che la pena capitale 
											poteva essere vista come un atto di 
											vendetta soprattutto adesso che la 
											guerra era finita da parecchi anni.
											
											 
											
											
											A queste e tante altre persone si 
											aggiunse l’intellettuale ebreo 
											austriaco Martin Buber, espatriato 
											nel 1938 per trasferirsi a 
											Gerusalemme, che, contattato dal 
											docente di filosofia dell’Università 
											Ebraica di Gerusalemme Shmuel Hugo 
											Bermann, riunì diversi amici per 
											invocare clemenza scrivendo una 
											lettera al Presidente di Israele 
											Yitzak Ben Zevi. Tra i firmatari 
											della missiva vi erano alcuni noti 
											studiosi come il semitista e 
											studioso della Qabbalah Gershom 
											Scholem, la poetessa Leah Goldberg 
											ed il pittore Yehuda Bacon, 
											testimone al processo Eichmann, 
											internato da ragazzo nel ghetto di 
											Theresienstadt e deportato a fine 
											1943 nel campo di sterminio di 
											Auschwitz-Birkenau dove nel 1944 suo 
											padre sarà ucciso nelle camere a 
											gas; la madre e la sorella moriranno 
											di stenti nel lager di Stutthof 
											poche settimane prima della 
											liberazione. L’atteggiamento di 
											questi intellettuali “derivava 
											principalmente da ragioni morali e 
											da un’opposizione alla pena di 
											morte. Non cercavano di proteggere 
											Eichmann o di sminuire la gravità 
											delle sue azioni. Cercavano, 
											dicevano, di impedire al popolo 
											ebraico di commettere quella che a 
											loro sembrava un’ingiustizia morale. 
											Oltre a ciò, alcuni temevano che 
											l’esecuzione avrebbe fornito una 
											base per affermare che ciò avrebbe 
											espiato i peccati dei nazisti e 
											messo a tacere le rivendicazioni del 
											popolo ebraico contro i suoi 
											assassini e carnefici”. Su questo 
											tema così si era espresso Scholem 
											sulla rivista Amot agli inizi del 
											1962: “Non c’è alcun dubbio che 
											Eichmann meriti la pena di morte. 
											Non ho dubbi al riguardo, non chiedo 
											la sua assoluzione, né discuto le 
											argomentazioni riguardanti le sue 
											azioni e la sua responsabilità per 
											esse.
											
											 
											
											
											Tutto ciò rientra negli aspetti 
											legali di questo processo. La mia 
											ipotesi è che a questo riguardo non 
											si possa discutere nulla in sua 
											difesa, merita di morire mille volte 
											al giorno ed è indegno di 
											misericordia... non esiste una 
											punizione adeguata nelle leggi della 
											società umana per i crimini di 
											Eichmann... che venga impiccato o 
											meno, non esiste alcuna correlazione 
											immaginabile tra il suo crimine e la 
											sua punizione... La condanna a morte 
											di Eichmann è un finale sbagliato 
											[enfasi nell’originale]. Distorce il 
											significato storico del processo 
											creando l’illusione che qualcosa di 
											questo evento possa essere risolto 
											impiccando un uomo o annientando una 
											persona. Questa illusione è 
											estremamente pericolosa, perché può 
											far sorgere la sensazione che sia 
											stato fatto qualcosa per “espiare” 
											qualcosa per cui non esiste 
											espiazione”.
											
											
											
											Oltre alla petizione inoltrata al 
											Presidente dello Stato, Buber chiese 
											di parlare direttamente col Primo 
											Ministro Ben Gurion per convincerlo 
											a concedere la grazia temendo che 
											l’impiccagione di Eichmann potesse 
											trasformarlo in un martire, ma dopo 
											ore di accesa discussione nella sua 
											abitazione l’ottantatreenne studioso 
											realizzò che oramai la condanna a 
											morte era irrevocabile. 
											
											
											
											Eichmann scrisse il 29 maggio 1962 
											una lettera al Presidente di Israele 
											Yitzhak Ben-Zvi chiedendo il perdono 
											e l’annullamento della sentenza di 
											morte: “Non è vero che io 
											personalmente fossi di un rango così 
											alto da poter perseguitare, o che io 
											stesso fossi un cacciatore di ebrei, 
											a fronte di una condanna così enorme 
											è chiaro che i giudici nella loro 
											sentenza ignoravano il fatto che io 
											non avevo mai ricoperto una 
											posizione così elevata come 
											richiesta per essere coinvolto in 
											modo indipendente in responsabilità 
											così decisive. Né ho dato alcun 
											ordine in nome mio, ma ho sempre 
											agito solo “per ordine di”. Anche se 
											fossi stato come i giudici 
											valutarono la forza motrice e 
											zelante nella persecuzione degli 
											ebrei, una cosa del genere sarebbe 
											stata evidenziata in promozioni e 
											altri premi. Eppure non ho ricevuto 
											tali vantaggi.
											
											
											
											È anche sbagliato che non mi lasci 
											mai influenzare dalle emozioni 
											umane. Proprio dopo aver assistito 
											alle vergognose atrocità umane, ho 
											subito chiesto di essere trasferito. 
											Inoltre, durante le indagini della 
											polizia, ho rivelato volontariamente 
											orrori fino ad allora sconosciuti, 
											per contribuire a stabilire la 
											verità indiscutibile. Lo dichiaro 
											ancora una volta, come ho fatto 
											davanti al tribunale: detesto come 
											il più grande dei crimini gli orrori 
											perpetrati contro gli ebrei e 
											ritengo giusto che gli iniziatori di 
											queste terribili azioni siano 
											processati davanti alla legge ora e 
											in futuro. Ciononostante, è 
											necessario tracciare una linea tra i 
											leader responsabili e le persone 
											come me costrette a servire come 
											semplici strumenti nelle mani dei 
											leader. Non ero un leader 
											responsabile e come tale non mi 
											sento in colpa. Non posso 
											riconoscere giusta la sentenza della 
											Corte e chiedo, Vostro Onore Signor 
											Presidente, di esercitare il vostro 
											diritto di concedere la grazia e di 
											ordinare che non venga eseguita la 
											pena di morte. Adolf Eichmann”. 
											Questa ed altre lettere relative al 
											caso Eichmann sono state rese 
											pubbliche il 27 gennaio del 2016 
											dall’Archivio di Stato di Israele 
											durante una cerimonia per ricordare 
											il 55esimo anniversario del 
											processo. 
											
											
											
											Anche la moglie Vera inoltrò una 
											richiesta di grazia a seguito di una 
											precedente richiesta: “Dopo che il 
											mio appello è stato respinto, il 
											destino di mio marito è nelle vostre 
											mani. In quanto moglie e madre di 
											quattro figli, chiedo a Vostra 
											Eccellenza la vita di mio marito”. 
											Il Presidente Ben Zvi le rispose con 
											un biglietto scritto a mano con una 
											citazione biblica, le parole del 
											profeta Samuele prima di uccidere il 
											re Agag: “Proprio come la tua spada 
											ha privato di figli le donne, così 
											tua madre sarà privata di figli tra 
											le donne!” (1 Samuele 15:33).
											
											
											
											I cinque fratelli di Eichmann si 
											unirono alla richiesta di grazia con 
											una lettera che terminava con una 
											dolente richiesta di grandezza 
											d’animo da parte del Presidente: 
											“Nel corso del processo il terribile 
											passato è stato nuovamente 
											riproposto davanti al mondo intero 
											// La conclusione di questo 
											rimprovero globale, attraverso un 
											atto di gentilezza, metterà in luce 
											la magnanimità del popolo ebraico e 
											lo aiuterà attraverso la promozione 
											dell’amicizia tra i popoli e le 
											razze. Affinché questa magnanimità 
											prevalga, chiediamo la sincera 
											attenzione di Vostro Onore”.
											
											
											
											L’avvocato difensore, il tedesco 
											Robert Servatius che aveva 
											patrocinato alcuni gerarchi nazisti 
											al processo di Norimberga, chiese di 
											annullare la sentenza di morte in 
											quanto il suo cliente “era una 
											persona senza importanza che era 
											stata buttata dal destino in eventi 
											politici” e che il condannato “Non 
											ha agito per una posizione di 
											antisemitismo, ma perché vincolato 
											da un sistema burocratico che lo 
											obbligava a farlo”.
											
											Il presidente di Israele Ben Zvi 
											respinse ogni richiesta di clemenza 
											con un breve comunicato al ministro 
											della giustizia Dov Josef il 31 
											maggio 1962: “Dopo aver considerato 
											le richieste di grazia avanzate a 
											nome di Adolf Eichmann, e dopo aver 
											esaminato tutto il materiale a mia 
											disposizione, sono giunto alla 
											conclusione che non vi è alcuna 
											giustificazione per concedere la 
											grazia a Eichmann o per alleggerire 
											la punizione inflitta dal Tribunale 
											di Gerusalemme il 15 dicembre 1961, 
											confermata dalla Corte suprema il 29 
											maggio 1962. Vi informo pertanto che 
											ho deciso di respingere le richieste 
											e di non usare i miei poteri per 
											perdonare e ridurre le pene in 
											questo caso”. 
											
											
											
											Rafi Eitan, l’agente del Mossad che 
											aveva diretto l’operazione di 
											arresto in Argentina, raccontò in un 
											documentario televisivo israeliano 
											sui criminali nazisti, che le ultime 
											parole di Eichmann, da lui 
											accompagnato al patibolo, furono: 
											“Spero che tutti voi mi seguirete”.