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N. 31 - Dicembre 2007

STALIN E L'ULTIMO ZAR

La storia del jazzista Ady Rosner

di Leila Tavi

Nato con il nome di Adolph il 26 maggio del 1910 nella Berlino di Wilhelm II e figlio di un commerciante, Isaak Rosner e di Rosa Schulzeit, quarto e unico figlio maschio, Eddy o Ady, come fu soprannominato più tardi nell’ambiente musicale, fu un musicista prodigio fin da piccolo. Al Conservatorio di Berlino studiò tromba, violino nonché come direttore d’orchestra. Giovanissimo venne ingaggiato come trombettista fenomeno per suonare nella banda di Marek Weber e successivamente, a soli venti anni, nei Weintraubs Syncopators; celeberrimi erano i suoi numeri con due trombe contemporaneamente.

L’origine ebrea di E. Rosner e di altri componenti della band (che prendeva il nome da Stefan Weintrauben, suo fondatore) insieme alle scenette umoristico-satiriche, che i sette Syncopator intercalavano alle performance musicali, furono la causa della loro impopolarità tra i dirigenti del Partito Nazionalsocialista dopo la presa di potere del 1933. Era già disdicevole essere un ebreo, e per di più suonare musica “da negri” infastidiva molto i vertici del partito: la Weintraubs Syncopators era considerata oltraggiosa, per i pezzi di boogie-woogie suonati e, formata da perversi omosessuali, per il semplice fatto che nei brevi sketch dei sette spesso erano interpretarti ruoli di donne con delle parrucche.

Nel 1933 fu proibito di suonare tal genere musicale nei teatri di Berlino e l’epoca d’oro dell’Hotel Adlon, il luogo in cui si esibiva la band di E. Rosner solitamente, finì insieme alla Repubblica di Weimer. Dal 1934 al 1939 l’impresario della band organizzò un tour per la band in Europa: Danimarca, Francia, Italia, incidendo per due delle maggiori case discografiche dell’epoca, l’Odeon e la Columbia. Le persecuzioni naziste verso gli Ebrei dilagavano però a macchia d’olio ed E. Rosner decise di trasferirsi in Polonia, dove formò una band con musicisti conosciuti precedentemente in Germania, tra cui la voce del gruppo, Ludwig Lampel, insieme ad attori del posto.

Nel 1936 E. Rosner fu il musicista più pagato in Polonia, secondo un’indagine fatta dalla rivista musicale inglese dell’epoca Melody Maker. L’orchestra di Rosner suonò nei più acclamati locali di Varsavia, l’Adria e l’Esplanade, e nella città di Lotz aprì un locale “Chez Ady” (U Adi) in cui si esibiva anche la sua prima moglie, una cantante polacca proveniente da una famiglia ebrea di attori, Ruth Kaminska conosciuta molto probabilmente all’Esplanade, dove la ragazza cantava.

Nel frattempo il jazzista divenne famoso anche nell’Europa del Nord, grazie anche a un tour organizzato dalla French Columbia in Finlandia, Danimarca e Svezia; in Francia divenne addirittura una star grazie agli spettacoli al teatro ABC di Parigi con Maurice Chevalier. Al suo ritorno in Polonia nel 1938 la sua carriera era all’apice e le sue esibizioni al Gold &Petersburski's di Varsavia registravano il tutto esaurito. La sua notorietà a livello mondiale gli aveva consacrato l’appellativo di “Louis Armstrog bianco”.

Nel settembre1939 E. Rosner lasciò insieme a sua moglie Ruth la Polonia a causa dell’invasione tedesca per emigrare verso la Bielorussia. Dalla città di Byalistock, occupata dall’esercito sovietico, si spostò a Lvov, dove per guadagnarsi da vivere accettò un ingaggio per il locale La Bagatelle in cui formò in brevissimo tempo un’orchestra ad hoc. Casualmente il Primo Segretario del Partito Comunista Bielorusso, Pantelomon Panomorenko, un estimatore del jazz, ebbe l’occasione di ascoltare una delle sue esibizioni ed, entusiasta del musicista,  trasformò la sua orchestra nella  prima orchestra di stato della Repubblica della Bielorussia. Fu l’inizio per E. Rosner della carriera come più grande jazzista nella storia dell’Unione Sovietica, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “ultimo zar” tra il pubblico e da ottenere onorificenze di stato.

Nel 1941 nacque sua figlia Erika e nello stesso anno gli venne ordinato di esibirsi per una platea vuota; più tardi venne a sapere che nel buio di quel teatro, all’apparenza vuoto, sedeva invece nell’anonimato l’altro “ultimo degli zar”, Stalin in persona. Durante la seconda guerra mondiale E. Rosner girò l’Unione sovietica in lungo e il largo, esibendosi anche per i soldati al fronte; l’intera nazione si consolava dagli stenti della guerra ballando sulle note blues del musicista. L’essere nelle grazie di Stalin fece anche la fortuna economica di E. Rosner, che guadagnava in media 100.000 rubli l’anno (un operaio ne guadagnava appena 2.000) e che aveva visto assegnarsi dal governo un appartamento di lusso con vista sul Cremlino. La sua fama del jazzista durò fino al 1946; con l’inizio della tensione tra URSS e USA, tutto quello che aveva attinenza con la cultura americana venne bandito dal suolo sovietico.

La musica di E. Rosner rappresentava ancora una volta, come nella Germania nazionalsocialista,  la perversione di una cultura marcia e debosciata. Neanche il fatto di essere ebrei versava a favore di  E. Rosner e la sua famiglia che passarono dall’auge alla miseria in poco tempo. Al suo tentativo di fuggire dall’Unione sovietica per ritornare in Polonia il 27 novembre del 1946 le autorità russe risposero con l’arresto e la condanna a 10 anni di gulag con l’accusa di spionaggio, agitazione antisovietica e alto tradimento. E. Rosner venne diviso dalla sua famiglia e spedito a Chabarowsk, nella Siberia orientale, sul fiume Amur, dove riuscì a fondare un quartetto. Nel luglio 1949 venne trasferito al gulag di Magadan, terribile prigione della Kolyma, dove, nonostante le peggiori aspettative del musicista, invece di venir reclutato per i massacranti lavori di forza, gli fu permesso di suonare per l’intero giorno: con un’orchestra per la direzione del lager e una diversa per alleviare le giornate dei prigionieri comuni, i veri secondini del gulag. Insegnò ad alcuni prigionieri il jazz e a costruirsi da soli gli strumenti con cui suonare.

Lì conobbe Marina Bojko-Prokofieva, che ispirò molte delle sue composizioni del periodo di Magadan e da cui ebbe la sua seconda figlia, Irina. Nel 1954 ottenne l’amnistia e gli fu permesso di rientrare a Mosca, dove con una tenacia strabiliante riuscì a risalire la china e a fondare l’ennesima band di successo negli anni ’50 e ’60, l’ Estraden Orchester ; si esibì addirittura con il famoso cabarettista russo Arkadij Raikin. Nel 1956 si sposò in seconde nozze con Galina Chodes. All’inizio degli anni ’70 la musica di E. Rosner passò di moda e il musicista ormai sessantenne aveva un grande nostalgia per la patria lontana. Diversi i tentativi per ottenere il visto d’espatrio, sempre respinti, che lo misero di nuovo in cattiva luce. Venne congedato come direttore dell’Orchestra di Mosca, collocato in pensione “d’ufficio” e trasferito a Gomel, in Bielorussia, dove anche se caduto di nuovo in disgrazia non si perse d’animo e fondò l’ultima delle sue orchestre, questa volta piccola e modesta.

Solo dopo l’intervento dell’ambasciatore americano a Mosca E. Rosner riuscì a ottenere nel 1974 il passaporto per l’espatrio; il ritorno nella sua città natale, Berlino, fu però per lui una delusione: nessuno si ricordava più il suo nome e lo swing era poco orecchiabile per i giovani ormai invaghiti della pop music e del rock. La città era cambiata, i nightclub e il clima non erano più quelli degli anni d’oro di Weimar; E. Rosner si ritirò a vita privata in un piccolo appartamento nella Bergfriedenstrasse, nel quartiere Berlin-Kreuzberg. Morì in solitudine l’8 agosto del 1976. Verrà riabilitato in Unione Sovietica solo nel 1988, quando molte delle sue composizioni del periodo sovietico vennero incluse in un’antologia del jazz sovietico per le edizioni musicali Melodiya.

Con l’inizio degli anni ’90 nel locale Moscow Jazz Club, fondato da Alexey Bateshev, vennero riproposti i brani di E. Rosner e della sua band; lo stesso Bateshev ha organizzato il concerto del 14 dicembre 2001 all’Accademia Tchaikowsky di Mosca in onore del grande artista il cui nome per due volte venne macchiato d’onta e cancellato dalla storia della musica russa. All’evento sono seguiti tributi in tutta la Russia e i suoi pezzi sono stati diffusi attraverso le frequenze di Radio Free Europe, a conferma del fatto che anche il Congresso americano, finanziatore della stazione radiofonica che ha trasmesso sin dal 1949 prima a Monaco di Baviera e poi dal 1995 da Praga, utilizza la cultura a secondo degli scopi. Attualmente la sede della radio trasmette da Kabul, perché ogni buon guerrafondaio sa che la propaganda culturale è nel luogo periodo un ottimo deterrente psicologico per vincere i conflitti, sia caldi che freddi.

Il nostro Eddy non è mai sceso a compromessi con i due regimi, né con quello nazista, né con quello sovietico, una vita da fuggitivo e delle pene da scontare solo perché ebreo e perché si è professato libero, libero di poter suonare la sua musica. Sarà forse il caso che ha mi ha fatto imbattere in quel torrido pomeriggio del 8 agosto 2003, dopo un luogo peregrinare alla ricerca di informazioni sul jazzista, alla periferia est di Berlino, nel Museo di Karlshorst (l’ex casino per ufficiali nazisti durante la guerra), nel nostro eroe.

Oggi nel quartiere Berlin-Kreuzberg vivono solo Turchi, si lasciano avvicinare con sospetto, la maggior parte di loro non parla tedesco e i pochi vecchi berlinesi rimasti non amano essere intervistati; in un bar fumoso dove si gioca a dardi e si beve già alle 5 del pomeriggio ne ho incontrato uno che sotto l’effetto dell’alcool aveva gute Laune (era di buon umore) e dopo avermi ascoltato ha risposto: “No, questo Rosner non l’ho mai sentito, viveva qui, in questa via? Non mi stupisco, anche negli anni ’70 era un quartiere destinato ai cani”.

 

Riferimenti bibliografici:

 

Juni 1941: der tiefe Schnitt, a cura del Deutsch-Russische Museum „Berlin-Karlshorst“, Berlino, Espresso, 2001

Mike Zwerin, La tristesse de Saint Louis: Swing unter den Nazis, Wien, Hannibal, 1988

Alexey Bateshev, “Resurrection of the Russian Satchmo”, in The Jazz Journalists Association, 2002, url http://www.jazzhouse.org/library/index.php3?read=zwerin8

Mike Zwerin, „Eddie Rosner revival, take two“, in The Jazz Journalists Association, 2002, url http://www.jazzhouse.org/library/index.php3?read=zwerin8

Jazzman from the gulag, regia di Pierre-Henry Salfati, Francia-Olanda, 1999

Weintraub’s Syncopators: to the other end of the world, regia di Klaus Sander, Germania, 2000

European Big Bands Database Plus,1988-2005,  url  http://nfo.net/euro/er2.html

 



 

 

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