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ARTE


N. 99 - Marzo 2016 (CXXX)

L’OPUS SECTILE NELL’ETÀ IMPERIALE E L’USO DI MARMI COLORATI
PARTE I - la tecnica

di Federica Campanelli

 

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Pannello in opus sectile, IV secolo d.C.

 

La tipologia di rivestimento principalmente pavimentale nota come opus sectile, che prevede la giustapposizione di marmi policromi, è tra le tecniche decorative più diffuse dell’antichità romana. Il primo esempio di opus sectile è tuttavia da ricercare nella spettacolare Tomba del satrapo della Caria Mausolo, ad Alicarnasso (IV secolo a.C.), satrapo della Caria, mentre l’introduzione nel mondo romano non avverrà che nel I secolo a.C.

 

L’opus sectile consiste nell’accostamento di pietre e marmi ridotti in crustae, il cui spessore poteva variare da 0,4 a 2 centimetri, accuratamente sagomate e selezionate sulla base della loro cromia.

 

Secondo le principali fonti antiche, Plinio e Vitruvio su tutti, la decorazione in sectile implicava tre strati preparatori: sul suolo, accuratamente spianato, asciugato e consolidato, si stendeva lo statumen, costituito da ciottoli di grandi dimensioni o frammenti di laterizi sciolti. Sopra lo statumen veniva steso il rudus, non più alto di 20 cm, composto da schegge grossolane di pietre, laterizi o altro materiale fittile legati con poca calce (con rapporto legante-inerte di circa 1:3). Segue l’ultimo strato, il nucleus, spesso non più di 10 cm e composto da una malta di calce e inerti di sabbia e/o cocciopesto, a granulometria inferiore rispetto all’inerte presente nel rudus e con un rapporto legante-aggregato che va da 1:2 a 1:3.

 

La superficie del nucleus veniva poi accuratamente spianata al fine di poter ricevere il sovranucleus, uno strato di malta, a volte pigmentata, di allettamento privo di inerti o con inerti a granulometria estremamente sottile. Nella malta di allettamento ancora fresca, stesa a man mano che avanzava la decorazione, venivano quindi inserite le tessere o crustae, il tutto seguendo un disegno preparatorio.

 

Il disegno poteva essere inciso direttamente sulla superficie del nucleus o dipinto sulla malta di allettamento. Similmente a quanto previsto dalla preparazione di un affresco, non di rado si adoperavano elementi sagomati per guidare l’artista nella realizzazione di motivi geometrici modulari. L’alto valore di questa tipologia di rivestimento non sta solo nella complessità della tecnica, cosa che implicava maestranze impeccabili, ma anche nei materiali lapidei impiegati: i marmi policromi utilizzati nell’opus sectile, spesso importati da terre lontane, possono infatti avere un valore a sé estremamente elevato.

 

La richiesta di materiale pregiato da impiegare in splendide opere private (principalmente abitazioni) e pubbliche (come templi, teatri, terme, piazze...) è dimostrato dai numerosissimi reperti rinvenuti in ogni angolo, persino il più remoto, dell’Impero. Negli edifici privati i marmi pregiati rappresentavano lo status aristocratico dei committenti delle opere; nelle opere pubbliche, l’alto valore dei materiali costitutivi si faceva portavoce del potere.

 

È doveroso fare una precisazione: da un punto di vista merceologico (all’epoca come adesso) per “marmo” s’intende non solo la roccia prevalentemente monomineralica, derivante da processi di metamorfismo di rocce carbonatiche, ma anche tutte quelle rocce che per le loro caratteristiche strutturali si prestano alla lucidatura tramite levigatura (la parola “marmo” viene proprio dal greco marmairo, cioè ‘risplendere’).

 

Ecco così rientrare nella categoria “marmi” una gran quantità di materiali lapidei di origine anche molto diversa tra loro: da rocce ignee, principalmente intrusive, a rocce sedimentarie, fino alle metamorfiche, cioè i marmi propriamente detti.

 

I litotipi più diffusi e pregiati impiegati nell’edilizia, possono essere desunti dagli elenchi dell’editto di Diocleziano del 301 d.C., l’Edictum de pretiis, il quale fissava il limite massimo dei costi di materiali e servizi, in risposta alla grave crisi del III secolo. Nel documento sono citati circa diciannove varietà di marmi antichi con i relativi prezzi, in denarii a piede quadrato.



 

 

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