_

.

> Home                                                      > Chi siamo                                                      > Contattaci

 

RUBRICHE

.

attualità

.

ambiente

.

ARTE

.

Filosofia, religione

.

Storia & Sport

.

Turismo storico



 

Periodi

.

Contemporanea

.

Moderna

.

Medievale

.

Antica



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

 

.

> Diritti umani e civili

.

N. 4 - Settembre 2005

LA CORTINA DI FERRO CULTURALE

Intervista al dissidente sovietico Jurij Vladimirovič Mal'cev - Parte III

di Stefano De Luca

 

D) Nel 1975 ad Helsinki l’Unione Sovietica accettò, almeno formalmente, il rispetto dei diritti umani, in cambio del riconoscimento ufficiale da parte degli Stati occidentali dello status quo prodotto dalla Seconda Guerra Mondiale. Vennero così sviluppandosi in Unione Sovietica i ‘Comitati’ per la verifica del rispetto degli impegni presi. E’ cambiato realmente qualcosa dopo Helsinki, oppure la condizione dei ‘prigionieri di coscienza’ è rimasta la stessa?

E’ rimasta la stessa. Non è cambiato nulla. Inoltre non è vero che solo nel 1975 l’Unione Sovietica abbia riconosciuto i diritti umani, ma ben prima, quando vennero proclamati dalle Nazioni Unite (1948). La Carta dei diritti umani era firmata dal governo sovietico.

 

D) E’ vero, anche se durante quella votazione il governo sovietico si astenne, come a sottolineare una dissociazione sostanziale da tale Carta.

Certo, e quindi a maggior ragione dopo Helsinki sarebbe dovuto cambiare qualcosa. Ma non cambiò nulla. Era una pura mossa tattica, non c’era l’intenzione di rispettare gli impegni presi. La propaganda sovietica interna diceva sempre che i diritti dell’uomo sono rispettati ‘solamente’ in Unione Sovietica, mentre nei paesi capitalistici gli operai muoiono di fame, scioperano, non hanno nessun diritto. Questo per uso interno. Per uso esterno invece si servirono di Helsinki. Firmando gli accordi di Helsinki, come dice Lei, puntavano tutto sullo status quo. Voi occidentali riconoscete il nostro diritto ad avere tutto quello che abbiamo conquistato, e non disturbateci, perché noi rispettiamo voi. Era l’affermazione delle zone d’influenza. Questo è nostro, quello è vostro. Voi fate tutto quello che vi pare da voi, altrettanto facciamo noi nella nostra zona.

 

D) Secondo Lei i politici occidentali avevano compreso questo atteggiamento di fondo dei politici sovietici, quando venne siglato l’Atto conclusivo di Helsinki?

E’ difficile dire fino a che punto arriva l’ipocrisia, il calcolo dei politici occidentali, che non sono affatto angeli. Sono convinto che nel profondo dell’anima i politici occidentali sapevano che era una menzogna, ma facevano i loro calcoli. Probabilmente avevano concluso che gli faceva comodo far finta di non vedere. Tutto fu un calcolo. Non c’era un personaggio politico che poteva veramente combattere per i diritti dell’uomo.

 

D) In questi trenta anni da Lei trascorsi in Italia, ritiene che l’informazione sia stata, nel nostro Paese, sufficiente o carente in merito al Gulag ed all’uso politico della psichiatria in Unione Sovietica?

 

Quando sono venuto in Italia, in una delle prime conferenze che ho fatto, ho cominciato il mio intervento pronunciando la parola ‘regime’ sovietico. Subito si è alzato un signore nella sala che disse: “come si permette di usare questo termine? Come può definire il governo sovietico regime?”. Capisce fino a che punto arrivava la disinformazione, l’ignoranza?

A Torino, nel corso di un’altra conferenza, cominciai a parlare di Solženicyn, delle sue opere, e si alzò questa volta un consigliere comunale. Era il 1975, a Torino c’era un sindaco comunista, ed il consigliere disse che il sindaco era appena tornato da un viaggio in Unione Sovietica, e che non aveva riscontrato nessuna violazione dei diritti umani, mentre al contrario c’era piena libertà di parola. Era un muro, che non sapevo come rompere, non sapevo da dove cominciare a parlare. Ogni parola che dicevo nelle conferenze veniva contestata dal pubblico, specialmente dagli ambienti della sinistra. Non si poteva dire nulla. Non credevano, o forse non volevano saperne nulla. Così era negli anni Settanta. Negli anni Ottanta è cambiato poco.

Quando è stato tradotto ‘Arcipelago Gulag’, nel 1975, ricordatevi di cosa hanno scritto Moravia, Cassola, Umberto Eco. Solženicyn è stato preso a calci. Gli sputavano insulti, dicevano che era un mascalzone, un bugiardo, un reazionario. Dicevano anche che era legato a Pinochet, che era un dittatore fascista, amico anche di Franco.

 

D) Questo secondo Lei era dovuto ad una ignoranza in buona fede, o a qualcos’altro?

Per alcuni era ignoranza. Altri non volevano accettare certe cose, in tanti non le vogliono accettare nemmeno oggi! Il KGB era infiltrato anche qui. Sapete che l’Espresso era controllato dal KGB. Nel dossier Mitrokjn c’è il nome del direttore de l’Espresso (?) tra quelli degli agenti del KGB. I comunisti italiani hanno dedicato tutta la loro esistenza alla difesa dell’Unione Sovietica, e non potevano accettare che tutte le loro convinzioni venissero distrutte. Per loro si trattava di malafede. Difendevano i loro interessi, il loro passato, la loro ideologia.

 

D) Dopo il crollo dell’Unione Sovietica ha riscontrato qualche cambiamento?

Dopo l’abbattimento del muro di Berlino ed il crollo dell’Unione Sovietica, si sono trovati di fronte ad un fatto. Innegabile. Il comunismo è crollato. Sono convinto che per loro fu un momento difficile. Non sapevano più come comportarsi. Il segretario del PCI Achille Occhetto disse che bisognava cambiare il nome al Partito Comunista. La parola comunismo per milioni di persone al mondo vuol dire terrore, ingiustizia. Per i comunisti occidentali, abbandonare quel sogno, quel mito, era una cosa molto difficile. Si sentivano migliori, non avevano nulla da rimproverarsi, ed anche oggi continua ad essere così. Una cecità, un insensibilità straordinarie. Non ho sentito da parte loro una sola parola di mea culpa. Mai.

Eppure i crimini del comunismo sovietico ed internazionale non avrebbero mai avuto quella dimensione apocalittica di milioni di morti senza l’ appoggio continuo, senza i continui  applausi della così detta opinione pubblica progressista. Sono complici dei crimini del comunismo, e non vogliono riconoscerlo.

 

D) Secondo Lei nel marxismo troviamo già i semi del totalitarismo sovietico, oppure quest’ultimo è dovuto ad una errata interpretazione del PCUS?

Certo, nel pensiero marxista troviamo già i semi di quanto sarebbe accaduto in Unione Sovietica. Gli scritti di Marx sono pieni di contraddizioni, ed in essi si può trovare tutto ciò che è avvenuto: lotta di classe, dittatura del proletariato, annientamento degli sfruttatori, della borghesia. C’è tutto. E’ una logica che porta dritta al lager.

 

D) Lei ha detto che i criminali del comunismo sovietico sono rimasti impuniti. Pensa che possa esserci una ‘Norimberga’ sovietica?

 

Non ci sarà. E’ troppo tardi. Andava fatto subito, ma ora credo che sia una cosa irrealizzabile. Sono stati molto furbi ‘loro’: hanno capito che il regime era marcio, finito, e che continuare ad andare avanti con la menzogna del comunismo non era più possibile. Hanno quindi preferito mantenere il potere, rinunciando alla parola ‘comunismo’. Il comunismo è crollato, ma il potere comunista è rimasto. Al potere sono rimasti ‘loro’.

 

Intervista rilasciata a Milano il 9 dicembre 2003 in occasione del

Convegno internazionale I Giusti nel Gulag

 

eOs dl

 

 

Collabora con noi

.

Scrivi per InStoria



 

Editoria

.

GB edita e pubblica:

.

- Edizioni d’Arte

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Manoscritti inediti

.

- Tesi di laurea

.

Catalogo

.

PUBBLICA...



 

Links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.