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N. 4 - Settembre 2005

LE LUCI DI SREBRENICA

A 10 anni dal massacro di 8.000 musulmani bosniaci

di Leila Tavi

 

Il canto di una bambina in abito tradizionale, candele accese e tanta gente in piazza hanno ricordato dalla città bosniaca al mondo la strage dell’11 luglio 2005. Il presidente della Serbia e Montenegro, Boris Tadic, ha voluto essere presente insieme ai ministri degli Esteri di Gran Bretagna, Francia, Olanda, Svezia, oltre che l'inviato speciale del segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e il Sottosegretario di Stato agli Esteri italiano Roberto Antonione. 

 

Ad esclusione dell'Alto rappresentante Ue per la politica estera e la sicurezza comune, Javier Solana, i leader politici: Bush, Chirac, Schroeder, Berlusconi e Blair hanno disertato. C’erano però  50.000 persone alla commemorazione delle vittime dell’orribile massacro di Srebrenica, il peggiore nell’Europa dal dopoguerra. Il primo cittadino serbo ha dichiarato di essere presente per  "rendere onore alle vittime innocenti del crimine'' e per "dimostrare che i cittadini della Serbia non sostenevano i crimini''.

 

Ha pronunciato parole che avrebbero potuto accendere la speranza di una possibile convivenza pacifica nella regione: “E’ necessario instaurare una reciproca fiducia e una solida cooperazione. Dobbiamo spezzare la spirale di male nei Balcani”. Nonostante le polemiche tra i Bosniaci musulmani sulla presenza del capo di stato serbo, durante la cerimonia non ci sono stati incidenti; nessuno ha contestato Tadic o gli ha impedito di parlare. Fuori dal Memorial Center di Potocari, poco lontano da Srebrenica, dove la cerimonia ha avuto luogo, è stato appeso uno striscione in cui era scritto a caratteri cubitali: “Europa vergogna – Genocidio”.

 

Un grido silenzioso quello di tutti i parenti e concittadini delle vittime della strage dell’11 luglio 1995. I Serbi hanno perso con Potocari un’occasione di reale riavvicinamento tra le due etnie. Nel giorno in cui si svolgeva la cerimonia il Parlamento di Belgrado ha osservato un minuto di silenzio, ma in memoria di tutte le vittime di ogni guerra balcanica e non in memoria di Srebrenica. Nel corso di una conferenza stampa Andreja Mladenovic, portavoce del Partito Democratico Serbo al governo, ha rimarcato che sono stati i serbi a subire le conseguenze peggiori dei conflitti degli anni '90. "La Serbia ha interesse a smascherare e a condannare tutti i crimini di guerra nella storia dell'ex Jugoslavia", ha dichiarato Mladenovic, "di cui il popolo serbo e' stata la vittima principale". Dieci anni fa le truppe regolari serbe e unità paramilitari serbo-bosniache penetrarono la zona protetta dall’Onu massacrando 8.000 uomini dell’enclave di Srebrenica.

 

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dichiarò nel 1993 la città, sorta accanto a una miniera d’argento e abitata per il 75% da musulmani, sotto la protezione dei Caschi Blu per garantire l’incolumità dei musulmani provenienti da tutto il paese e sfuggiti alla pulizia etnica dei Serbo-Bosniaci. Con l’inasprimento del conflitto nel 1995 i Serbo-Bosniaci assediarono la cittadina presidiata da poco più di 400 soldati dell’esercito olandese sotto l’egida della missione Onu. L’11 luglio 1995 i Serbo-Bosniaci riuscirono a entrare nella città, trucidarono sotto gli occhi attoniti degli Olandesi tutti gli uomini e i ragazzi che trovarono sul loro cammino seppellendoli poi in fosse comuni.

 

A dieci anni dal massacro si sta ancora tentando di dare un’identità a centinaia di corpi; durante la cerimonia di commemorazione un momento di forte commozione ha rappresentato la preghiera in ricordo delle vittime davanti alle bare con i resti di 610 corpi riconosciuti di recente a seguito delle indagini degli ispettori delle Nazioni Unite. Le bare scortate dai parenti delle vittime sono state sotterrate accanto a quelle di mille altri nel cimitero che si trova nel  Memorial Center. In questi dieci anni sono state esumate circa 5.000 salme e gli esperti ingaggiati dalle Nazioni Unite ne hanno identificate finora 2.032, meno della metà, di cui 1.300 sono state seppellite nel Memorial Center.

 

Il leader dei Serbo-Bosniaci ai tempi del conflitto, Radovan Karadzic, e il capo delle sue forze armate, il generale Ratko Mladic, sono stati accusati dal Tribunale dell’Onu in The Hague di genocidio e di crimini contro l’umanità. Entrambi sono ancora latitanti.

 

Srebrenica è una ferita che ha lasciato una cicatrice profonda nella storia europea. Chi è sopravvissuto racconta oggi come tra l’aprile del 1992 e l’aprile del 1993  migliaia di profughi nel tentativo di salvarsi dalle incursioni dei Serbo-Bosniaci si nascondevano in cantine, garage, o addirittura nelle case abbandonate dai Serbi; di come si nutrivano di sole radici; di come erano infestati da pulci; di come, assiderati nel lungo inverno del 1992, si riscaldavano bruciando pneumatici e bottiglie di plastica e, di come i corpi dei morti per denutrizione e per assideramento venivano mangiati dai cani.

 

Il 12 aprile del 1993 Srebrenica cadde sotto i missili e le granate serbe; Radio Srebrenica lanciò un disperato grido d’aiuto al resto del mondo. Il 18 aprile i Serbi permisero a 135 soldati canadesi di entrare nella città per rifornire gli assediati con farina, zucchero, fagioli e carne in scatola, ma la città e i villaggi circostanti vennero contemporaneamente isolati dal resto del paese. Nell’ottobre del 1994 i Canadesi vennero sostituiti dal battaglione olandese “Dutchbat”; nel frattempo il cordone creato dai Serbi impediva il rifornimento della città: il 90% dei Bosniaci rimasto a Srebrenica era sottonutrito, molti avevano febbre gialla o tubercolosi. L’ultimo camion con i rifornimenti di carburante riuscì a passare il cordone serbo nel febbraio 1995 e in marzo l’ultimo con derrate alimentari. Il 25 marzo il comandante del Dutchbat, Tom Karremans, annunciò ai suoi superiori che i suoi uomini non erano più in grado di portare avanti la missione senza munizioni e carburante.

 

Il primo degli attacchi arrivò il 3 giugno con un assalto ad un posto di osservazione dei Caschi Blu a sud della città; i soldati olandesi vennero cacciati senza che potessero far alcuna resistenza (il mandato dell’Uno vietava di sparare se non per difesa personale). La città sarebbe capitolata dopo cinque settimane nel sangue.

 

Le belle parole di Tadic “dobbiamo spezzare la spirale di male nei Balcani” sono state pronunciate davanti alle telecamere; a telecamere spente 1.500 poliziotti armati circondavano il cimitero del Memorial Center, i loro stivali erano sporchi di fango per il temporale della notte precedente, quel fango dove 1.300 persone riposano adesso… in pace?

 



 

 

 

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