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N. 1 - Giugno 2005

LA RUSSIA DI PIETRO IL GRANDE

Sulle origini del conflitto tra occidentalisti e slavofili

di Stefano De Luca

In Russia convivono due anime, due diversi modi di interpretare la propria storia ed il proprio futuro: da una parte c’è chi pensa sia necessario ‘imitare’ la civiltà sviluppatasi in Europa Occidentale; dall’altra chi pensa bisogni guardare alle peculiarità culturali tipiche della tradizione russa. Per comprendere il senso di questi opposti modi di ragionare, e le loro radici, è necessario comprendere il valore storico dello zar Pietro I il Grande, in quanto fu la sua opera a dare avvio ad una diatriba ancora oggi non sopita.

LA RUSSIA PRIMA DI PIETRO - Il primo nucleo di una organizzazione statale degli slavi orientali si costituì nel corso del IX sec. attorno al Gran Principato di Novgorod, sotto la guida del leggendario condottiero variago Rjurik, capostipite della dinastia dei Rjurikidi. Successivamente spostata a Kiev la capitale (Rus’ Kieviana), l’invasione dei Tatari nel XIII sec. pose fine alla sua indipendenza. Sotto il dominio tataro assunse rilevanza il Principato di Mosca, che nel 1480 fu capace di emanciparsi e di riunire attorno a sé gli slavi orientali nella Moscovia, ribattezzata Russia alla fine del XVII sec.

Con la caduta di Costantinopoli in mano turca nel 1453, avendo Ivan III sposato la Principessa di Costantinopoli Sofia Paleologo, Mosca divenne inoltre il cuore della Cristianità ortodossa (la Terza Roma), e l’Ortodossia uno dei pilastri dello stato russo. A fregiarsi dell’appellativo zar (cesare), per recuperare la tradizione imperiale bizantina, fu Ivan IV il Terribile, alla cui morte si estinse la dinastia dei Rjurikidi. Dopo un periodo di anarchia all’inizio del XVII sec. (età dei Torbidi), l’Assemblea (Duma) dei Boiardi (la nobiltà russa) elesse zar Michele III Romanov, capostipite della dinastia che regnò fino al 1917. Nel 1649 fu ufficialmente sanzionata da Alessio I la servitù della gleba, introdotta gradualmente a partire dal XV sec, inversamente a quanto accadde nell’Europa occidentale, che proprio in quegli anni stava completando il processo di emancipazione delle masse contadine.

L’OCCIDENTE COME MODELLO - La Russia che si affacciava al Settecento risultava così un’entità statale autocratica, teocratica, con una forte nobiltà e delle masse contadine ferme ad un regime medievale. A riformarla fu Pietro I il Grande (il cui nome deriva dal greco petros, pietra), fondatore della Russia moderna e di tutte le sue contraddizioni. Figlio dello zar Alessio I, Pietro prese il pieno controllo del governo nel 1696 e, in ventinove anni di regno, riuscì a cambiare volto al proprio paese. In Russia tutti i fatti politici, avvenuti prima e dopo il suo regno, si possono misurare prendendo la sua opera come temine di paragone. Fu lui a dare inizio all’espansione russa verso Occidente, mirando a conquistare uno sbocco sul Mar Baltico e sul Mar Nero. Prima di Pietro il principale porto russo era quello della città di Arcangelo, sul Mare del Nord, che risultava estremamente limitante per i commerci a causa del ghiaccio che impediva la navigazione durante i mesi invernali.

Nel 1696 Pietro riuscì a conquistare la città di Azov sul Mar Nero, che dovette però abbandonare nel 1711 dopo la sconfitta di Stănileşti contro l’esercito ottomano. Nel 1703, dopo la vittoriosa battaglia con gli svedesi, il tanto agognato sbocco sul Mar Baltico fu conquistato da Pietro nella regione dell’Ingria dove, alla foce del fiume Neva, fondò la città di San Pietroburgo, la nuova e moderna capitale russa, per la cui costruzione volle architetti occidentali (tra cui l’italiano Quarenghi). Il trionfo fu completato nel 1721 quando, col Trattato di Nystad, la Russia ottenne, dopo un decennio di guerre con la Svezia, l’Estonia, la Livonia e la Carelia.

Pietro fu il primo zar ad intraprendere una laicizzazione della società russa, i cui bioritmi erano scanditi dalle ricorrenze Ortodosse. Per soppiantare la figura Patriarca istituì il Santo Sinodo, un kollegija di nomina zarista, che divenne il vertice della Chiesa ortodossa. Considerando la Chiesa un ostacolo sulla via della modernizzazione, tentò altresì di limitarne l’influenza sulla società: l’obbligo imposto alla popolazione di tagliarsi le lunghe barbe, uno dei caratteri distintivi degli Ortodossi, era un messaggio inequivocabile. A livello economico cercò di creare, coinvolgendo profondamente lo Stato, un ceto imprenditoriale capace di produrre capitale, riuscendo ad ottenere una rapida crescita dell’economia nazionale. Tutto ciò scontentò profondamente tanto la nobiltà, che vedeva nella modernizzazione una minaccia concreta ai propri privilegi, quanto la Chiesa ortodossa: i due soggetti, in sostanza, sui quali si era appoggiato per secoli il potere zarista.

CONTINUITA’ O MUTAMENTO? - Pietro viene ricordato come l’occidentalizzatore della Russia, che mutò equilibri consolidati, e diede inizio alla ‘rincorsa’ del suo Paese alle grandi potenze europee. Dopo il suo Regno, l’ascesa della Russia a Grande Potenza fu inarrestabile, ma portò con sé una divisione di pensiero tra coloro che volevano una crescita della nazione coerente con le tradizioni russe, e chi invece guardava alle società occidentali come modelli da imitare. Queste due anime si trasformarono in ideologie coerenti durante l’Ottocento, quella occidentalista e quella slavofila: se i primi esaltavano la figura di Pietro il Grande, i secondi la deprecavano in quanto aveva a loro avviso interrotto e corrotto lo sviluppo “naturale” della nazione russa. Ancora oggi queste due anime sono ben visibili, ma la loro conflittualità sembra mitigata dalla figura carismatica ed unificante di Vladimir Putin, da molti considerato il ‘nuovo zar’ del popolo russo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

William Marschall, Pietro il Grande e la Russia del suo tempo, Bologna, Il Mulino, 1999

Nicholas W Riasanovskij, Storia della Russia, Milano, Bompiani, 1984



 

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