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N. 31 - Dicembre 2007

JAN PALACH

16 gennaio 1969

di Matteo Liberti

 

Il 16 gennaio del 1969, nel centro di Praga, precisamente in piazza San Venceslao, un ragazzo si cosparse di benzina e si diede fuoco.

Si trattava di Jan Palach, uno studente di filosofia che divenne, quel giorno, uno dei simboli più efficaci della rivolta praghese freddamente soffocata dai carri armati dell'Unione Sovietica.

 

Erano giornate di febbrile contestazione, con il paese ormai prossimo all’inizio del sesto mese di occupazione sovietica della Cecoslovacchia (21 agosto 1968). L’invasione, volta a frenare le tendenze democratiche del presidente del partito nazionale Alexander Dubcek ed il suo socialismo dal volto umano, venne dai russi spacciata come aiuto fraterno.

 

Le forze del Patto di Varsavia accorse in aiuto contavano su circa 600.000 uomini (l'unico paese che non inviò uomini fu la Romania).

 

Di fronte alla progressiva occupazione, il numero degli esuli cecoslovacchi iniziò a crescere velocemente, e con gli esuli cresceva anche la rassegnazione di fronte al gesto di forza e di prepotenza dell’ URSS.

In tutto il paese le molte proteste erano finite soffocate nella violenza e molti morirono negli scontri con le truppe. Il 17 aprile, tre mesi dopo il rogo, Dubcek verrà allontanato completamente dalla sua carica e sostituito dal più malleabile Husak.

 

Il gesto di Jan Palach era indirizzato esattamente contro questa situazione ormai divenuta stagnante.

Non fu neppure una sbagliata rinuncia a quel dono di Dio che è la vita, ebbe a dire il Vaticano.

 

Jan Palach portava con se una lettera, che non volle bruciasse con lui.

Venne letta subito dopo la sua morte.

 

"Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l'onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana.

 

Noi esigiamo l'abolizione della censura e la proibizione di Zprav (giornale delle forze di occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s'infiammerà".

 

Firmato: la torcia numero uno.

 

Altri s'immolarono come lui, almeno sette in Cecoslovacchia, ma, colpa anche della censura, le notizie che si ebbero furono assai scarse. Si sa però che... Jan Palach aveva compiuto parte dei suoi studi universitari direttamente in Unione Sovietica e probabile argomento della sua tesi di laurea sarebbe stato Karl Marx e la terza internazionale.

Il gruppo politico cui apparteneva, seppur clandestino, non era affatto un gruppo anticomunista. Il suo intento non era il ritiro delle truppe, piuttosto la fine immediata della censura sulla stampa...

 

La sua tomba divenne presto una meta di manifestazioni silenziose contro gli abusi del regime comunista. Preoccupate per questi ripetuti episodi, le autorità decisero così, nel 1973, di traslare i resti di Palach a Vsetaty, a pochi chilometri dal suo luogo di nascita.

 

Dal mese di ottobre del 1990 le sue ceneri si trovano nel cimitero di Olsany, a Praga.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Giancarlo Giordano, Storia della politica internazionale, 1870-1992, Franco angeli, 1994

Storia universale dei popoli e delle civiltà, l'età contemporanea, UTET

www.thanatos.it/cultura/personaggi/palach_jan.htm

www.arengario.net/piaz/piaz030522b.html

www.cronologia.it/storia/a1969g.htm

 



 

 

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