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N. 11 - Aprile 2006

UNA SOLA PADRONA. E NESSUN PADRONE

L’epopea di Elisabetta I Tudor, la regina vergine che sposò il trono d’Inghilterra

di Alessia Ghisi Migliari

 

Gli astrologi non avevano dubbio alcuno.

Sarebbe stato un maschio, l’attesissimo erede che Enrico VIII non era riuscito ad avere dalla prima moglie, Caterina d’Aragona.

 

Stavolta, grazie alla fertile e intrigante Anna Bolena, l’Inghilterra avrebbe avuto il suo principe Tudor.

Non si sa che con certezza la pessima fine che fecero gli indovini quando, il 7 settembre 1533, nacque una femmina.

Un’inutile bimba, dopo tutti gli sforzi di suo padre per liberarsi dai vincoli del primo matrimonio e sposare l’amata.

Di figlie ce n’era già una, la povera Maria, che, se in seguito passò alla storia come la “Sanguinaria”, da adolescente non fu nulla più che una ragazzina ripudiata dal padre, decretata come ‘bastarda’ dopo un’infanzia dorata, e tenuta sadicamente lontano anche dall’amata madre malata.

Di certo, non serviva un altro fiocco rosa, a corte.

Ma tanto era, e una volta decapitata la seconda consorte, Enrico VIII riprese la sua celebre collezione di mogli, incurante di quanti si lasciava alle spalle.

 

Cresciuta in una residenza di campagna, con pochissimi mezzi e totalmente sprovvista di affetto, Elisabetta pareva destinata ad un’esistenza in ombra, in modo che non desse particolarmente fastidio all’illustre genitore.

Con la nascita del sospirato maschietto, dalla terza moglie, divenne anche lei illegittima, al pari della sorellastra maggiore, che per chiare ragioni non la amava.

 

Ma il vecchio re Tudor divenne più saggio nella scelta della compagne, perché la sesta fu magnanima ed affezionata alla figliastra (almeno all’inizio) e si preoccupò che la fanciulla avesse un’educazione notevole.

Ciò la rese una donna di enorme cultura rispetto alle dame dell’epoca, e il suo maneggiare diverse lingue, unite alle molte materie che apprendeva velocemente, la resero indipendente nel pensiero, quanto fu scaltra per merito (se così si può dire) dei patimenti subiti.

 

Alla morte di Enrico VIII seguì, pochi anni dopo, quella dell’erede adolescente.

Il che – dopo una serie di controversie – portò al potere proprio quella Maria che di frustrazioni ne aveva accumulate in maniera impressionante. Cattolica fanatica, fuoriuscita da una vita di vessazioni, non fu certo clemente, Maria.

Imprigionò Elisabetta nella temibile “Torre”, per via di una sua supposta partecipazione ad un complotto contro la nuova sovrana.

 

Anche una volta liberata, la “Sanguinaria” credette poco alla conversione religiosa che pretendeva dalla sorella, e non fu mai in grado di avvicinarla senza rancore o diffidenza. Non si addolcì nemmeno col matrimonio con Filippo II di Spagna, e morì portando con sé la perdita della città di Calais (per una guerra azzardata) e lo sterminio e la tortura dell’Inquisizione.

Ovvio che con precedenti così, la figura di Elisabetta fu vista sin dal principio – almeno dai protestanti – come una benedizione.

 

Aveva venticinque anni, era alta e sottile, con una chioma rossa sopra un viso aguzzo, con un naso adunco ed occhi piccoli e determinati (o feroci) che parevano guardare più che lontano.

Passata alla storia come la “Regina vergine”, dovette questo soprannome alla scelta di non sposarsi mai (non rifiutò alcun bel ragazzo, quando le aggradava), perché “Ci sarà una sola padrona qui. E nessun padrone”.

Determinata, astuta, cerebrale, unì all’indubbia sensibilità (e vanità) femminile, una robustezza di mente che i suoi contemporanei non avrebbero mai creduto dote femminile.

 

Enigmatica in alcune sue scelte (lasciava al tempo il responso), dovette molto al consigliere che, saggiamente, si scelse : William Cecil, diplomatico che le rimase accanto per moltissimi anni in maniera fedele e proficua.

Appena insediata, Elisabetta dovette affrontare il problema religioso : non particolarmente coinvolta dalle questioni spirituali, scelse una linea tollerante, afflitto com’era il suo Paese, dalle piaghe della povertà, dei conflitti esteri e dall’enorme sfinimento derivato proprio dalle questioni dell’anima.

 

Un altro aspetto che le fu presentato da subito, fu appunto quello del matrimonio, che lei accarezzo apparentemente con diversi pretendenti, ma che non arrivò mai a prendere seriamente in considerazione, neanche di fronte al fatto di non lasciare nessuno al comando, una volta dipartita.

In termini affettivi, il suo ‘preferito’ fu a lungo Robert Dudley, ma non era certo una questione di innamoramento, a tenerla lontano da altri pretendenti, che avrebbero finito inevitabilmente con il volere tra le mani una corona che solo a lei apparteneva.

 

Ma nel gioco degli equilibri precari d’Europa, la regnante doveva vedersela anche con la cugina, Maria Stuart, vedova del delfino di Francia, giovane e bellissima, che, regina di Scozia, non aveva alcuna intenzione di stare in secondo piano rispetto all’egregia parente.

Elisabetta tentennò a lungo sul da farsi verso questa sovrana che continuamente complottava alle sue spalle, senza avere però il coraggio di fare una scelta definitiva fino al 1587, quando – dopo l’ennesimo intrigo – firmò la decapitazione della Stuart.

 

Fu uno dei diversi atti controversi della sua carriera, che non fu ovviamente tutta dorata, ma che apparve luminosa soprattutto se paragonata a quella del suo predecessore, Maria.

 

In ogni caso, sotto “Gloriana”, il regno divenne più florido (anche grazie alle spedizioni piratesche di Francis Drake, sempre apprezzato da Elisabetta), e pur con gli scombussolamenti politici ed interni, permise – grazie alla sua apertura di idee – uno sviluppo sociale tale da spingere a coniare l’espressione “età elisabettiana”.

 

Morì nel 1603, senza nominare chi l’avrebbe sostituita (Giacomo, figlio di Maria Stuart). Pochi giorni prima, le dita le si erano gonfiate al punto da obbligare a tagliare l’anello dell’incoronazione – un gesto terribile, per chi era stata madre del Paese per decenni.

 

Sfarzosa, truccata e narcisista anche da anziana, fu in grado di civettare col suo popolo, di farsi adorare perché lei lo adorava. E perché, nel momento del bisogno, aveva polso fermo e una superbia superata solo dalla propria tenacia.

Fu l’ultima Tudor –  forse la più amata.

 

E fu padrona – solo lei – fino alla fine.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Kotnik D., “Elisabetta d’Inghilterra. Una donna al potere”, Milano, Rusconi 1998

Erickson C., “Elisabetta I”, Milano, Mondadori 1999

Erickson C., “Il grande Enrico. Vita di Enrico VIII, re d’Inghilterra”, Milano, Mondadori 1997

www.cronologia.it/cronbio1.htm

http://guide.supereva.com/giallo_e_noir/interventi/2005/09/223902.shtml



 

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