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FILOSOFIA & RELIGIONE


N. 99 - Marzo 2016 (CXXX)

EGERIA
UNA REPORTER SPECIALE A GERUSALEMME

di Roberta Franchi

 

È il 1884 quando Gian Francesco Gamurrini, di professione giurista, presso la Biblioteca della Confraternita dei Laici ad Arezzo fa una scoperta sensazionale, destinata ad aprire una vera e propria «questione» negli studi di letteratura cristiana antica. Nel Codex Aretinus VI.3 – oggi presso la Biblioteca di Arezzo e siglato Aretinus 405 –, oltre ad alcune opere di Ilario di Poitiers, compare un resoconto di viaggio anonimo, mutilo all’inizio e alla fine. Ciò che rende questo testo latino ancora più interessante, appare chiaro fin da una prima lettura: l’autrice è una donna e donne sono anche le sue destinatarie. Ne deriva un resoconto di viaggio interamente al femminile, un unicum nel panorama letterario antico. Ma a chi attribuire il testo? Gli studi condotti nel corso del tempo hanno permesso di identificare l’autrice del Diario di viaggio con il personaggio di cui parla una lettera di Valerio del Bierzo e ricordata come «monaca». È stato così possibile darle un nome: Egeria (o Eteria, Eiheria, Heteria ecc. a seconda delle lezioni). La sua figura resta però avvolta nel mistero. Di lei infatti non sappiamo quasi nulla, tranne quello che si può dedurre dal suo Diario di viaggio, ossia che doveva essere una ricca vedova dalla vocazione monastica, originaria con ogni probabilità della Galizia e animata da sincera devozione.

 

Egeria è scrittrice solo in quanto pellegrina: vuole raccontare le sue impressioni alle compagne lontane, perché anch’esse godano di ciò che il Signore le ha concesso. Gerusalemme è il centro religioso da cui ella parte e dove ritorna, secondo quanto si deduce dal diario di viaggio conservato, ma non le interessano soltanto i siti di memoria biblica ed evangelica; anche quelli legati alla tradizione ascetica sono tappe fondamentali. La fede di Egeria è una fede non superstiziosa, pronta a lasciarsi impressionare dalla bellezza dei luoghi e dai loro mirabilia, a vivere con curiositas esperienze che si radicano prima nel testo biblico e poi nella realtà. La soddisfazione con la quale dichiara spesso che tutto è bello, puro e conforme alla Sacra Scrittura suona importante per lei e per le compagne che leggono il suo diario: ogni nome, ogni pietra, ogni luogo corrisponde alla verità del messaggio divino. Essere pellegrini significa vedere in loco quello che tante volte è stato letto o sentito.

 

Quando nel 381-383 Egeria arriva a Gerusalemme, il pellegrinaggio cristiano è una pratica ben radicata. Mentre nei primi tre secoli del cristianesimo le destinazioni vanno da Est a Ovest, attratte dall’Urbs caput mundi, Roma, dove si possono venerare le tombe di Pietro, Paolo e di altri martiri, a partire dal IV secolo si verifica il fenomeno inverso: la fuga da Roma, identificata con i valori effimeri del mondo, e il desiderio di ritornare alle origini e alla semplicità, l’Est. Così il viaggio dall’Ovest ad Est, ossia la Terra Santa, luogo in cui è nato il Signore e da cui sorge il sole, assume le caratteristiche di un viaggio di ritorno, che trova la sua concretizzazione geografica in Gerusalemme e nella Terra Promessa. Molti sono i motivi per cui «coloro che abitano come pellegrini nella caducità, aspettando l’incorruttibilità celeste» (A Diogneto 6,9) si mettono in cammino: pietà, devozione verso le radici storiche della fede, dimensione penitenziale del viaggio. Pregare a Gerusalemme o sul Sinai diventa espressione concreta di fede e risposta a una chiamata del Signore. In un primo tempo i pellegrini sono vescovi e affrontano il viaggio per volere divino. Stando a Eusebio di Cesarea, il primo è stato Alessandro di Cappadocia nel 200, che si reca in Terra Santa a seguito di una visione. Poi si muoveranno tutti, donne comprese.

 

Occorre però aspettare il IV-V secolo perché alcune nobildonne, nella cui cerchia si annoverano molte continentes, virgines e viduae, spinte dallo studio della Bibbia a cui si sono dedicate, manifestino un forte interesse per i luoghi menzionati nella Sacra Scrittura e inizino a viaggiare. Atanasio di Alessandria scrive la Lettera alle vergini che erano andate a pregare a Gerusalemme e ne erano ritornate. È indirizzata a delle ascete che vivono in Egitto, appena tornate dalla Terra Santa. Le monache sono afflitte, perché costrette a lasciare quei luoghi indimenticabili; il vescovo cerca di consolarle. Il pianto e la tristezza sono reazioni normali che scaturiscono dalla mancanza di quei luoghi santi, ma dopo devono cessare. La presenza fisica in Terra Santa non è necessaria: chiunque vive una vita secondo i dettami della retta dottrina porta dentro di sé quei luoghi. Atanasio sposta così il pellegrinaggio fisico e concreto, compiuto dalle ascete, su un altro piano, quello spirituale. La città santa diventa luogo spirituale e ideale: la Gerusalemme terrena sfuma in quella celeste. Il pellegrinaggio cambia così di segno: i monaci possono anche non andare nei luoghi santi.

 

La polemica contro i pellegrinaggi, specie quelli al femminile, trova un agguerrito sostenitore in Gregorio di Nissa. In risposta a un tal Censitore, che gli chiede un parere sul pellegrinaggio di monaci e monache in Terra Santa, il Nisseno afferma che il Signore, quando ha chiamato gli eletti al regno, non ha incluso il viaggio religioso né tra le buone azioni, né tra le beatitudini. La visita ai luoghi santi non apporta alcun giovamento alla fede. Il pellegrinaggio deve pertanto essere evitato: è occasione di peccato e trasgressione in ragione della promiscuità che si verifica tra uomini e donne, incoraggia la sensualità e l’impudicizia, e mette a dura prova la castità delle donne. Eppure, nonostante tutto, le donne hanno sfidato le insidie del viaggiato e hanno subito tutto il fascino dei loca sancta.

 

La parte conservata del Diario di viaggio di Egeria ne è prova eloquente. Essa può essere divisa in due grandi sezioni: la prima racconta i pellegrinaggi di Egeria (capp. 1-23); la seconda descrive la liturgia di Gerusalemme (capp. 24-49). L’unione tra pellegrinaggio, lettura biblica e atto cultuale si riveste di un significato preciso a Gerusalemme, dove la liturgia consente al pellegrino di rivivere le tappe della vita del Signore alla luce della lectio biblica. Ogni luogo diventa una tappa liturgica e il testo sacro offre letture appropriate e materia di meditazione. Ciò che rende il suo testo un unicum sta nel fatto che Egeria non fa un semplice elenco delle mutationes o mansiones, o dei numerosi luoghi santi, come gli altri itinerari di viaggi pervenuti (l’Itinerarium Burdigalense o l’Itinerarium Antonini Placentini): il suo racconto è vivo, pieno di ricordi ed emozioni personali ma anche corali.

 

Il Diario di viaggio coglie la drammatizzazione dell’atto liturgico. Durante la veglia della domenica, nell’Anastasi il vescovo entra nella grotta e resta in piedi dietro i cancelli; un prete sta davanti alla cancellata e legge quel passo secondo cui Giuda Iscariota andò a trovare i Giudei e stabilì il prezzo che gli avrebbero dato per tradire il Signore. Quando è stato letto questo brano, tale è il gridare e il gemere di tutto il popolo che non vi è nessuno che non possa non commuoversi fino alle lacrime (cap. 34). In quel vescovo isolato dietro i cancelli i fedeli riconoscono Cristo e la sua solitudine all’inizio della passione: il coinvolgimento del popolo è quello della pellegrina, che rivive la sacra pagina e fissa sulla carta un’emozione di tutti.

 

Il Diario di viaggio è un utile documento anche per la topografia antica. L’anima pulsante di Gerusalemme è il Calvario, dove sorge un complesso monumentale di tre edifici, nei quali si svolgono i riti di tutti i giorni e delle feste. Poiché la Pasqua è il momento fondamentale della religione cristiana, i luoghi deputati a ricordare la passione, morte e resurrezione di Cristo sono al primo posto. L’Anastasi è il sito della resurrezione ed Egeria chiama per ben due volte «basilica» l’edificio sacro che vi sorge. Le porte dell’Anastasi si aprono su un atrio circondato da un portico su tre lati e nel quarto angolo si alza il Golgota, chiamato dalla pellegrina «la Croce». Sul Golgota sono visibili la roccia che si è aperta al momento della risurrezione e una croce piantata in ricordo della morte di Cristo. La chiesa più grande di Gerusalemme è il Martyrium, la Chiesa Maggiore, situata dietro la Croce; essa corrisponde alla basilica voluta da Costantino ed edificata sotto la supervisione dell’imperatrice Elena, nel posto in cui è stata ritrovata la tomba di Cristo.

 

In un rincorrersi di memorie cristocentriche, di culto delle reliquie, di partecipazione emotiva Gerusalemme diventa così il fulcro del pellegrinaggio cristiano, dall’antichità fino ai giorni nostri.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

F. Allegri, Donne e pellegrine dall’antichità al Medioevo, Jaca Book, Milano 2012.

F. Cardini, Egeria la pellegrina, in F. Bertini-F. Cardini-C. Leonardi-M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri, Medioevo al femminile, a cura di F. Bertini, Laterza, Roma-Bari, 1989.

 R. Franchi, Luoghi santi ed Egitto: itinerari principali del pellegrinaggio cristiano antico al femminile, in «Rivista di Ascetica e Mistica», 2012.

E. Giannarelli, Egeria, Diario di viaggio. Introduzione, traduzione e note (Letture cristiane del Primo Millennio 13), Edizioni Paoline, Milano 1992.

E. Giannarelli, Il pellegrinaggio al femminile nel cristianesimo antico: fra polemica e esemplarità, in Donne in viaggio. Viaggio religioso, politico, metaforico, a cura di M.L. Silvestre-A. Valerio, Laterza, Roma-Bari 1999.

N. Natalucci (a cura di), Egeria, Pellegrinaggio in Terra Santa (Biblioteca Patristica 17), Nardini, Firenze 1991.

G. Otranto, Il pellegrinaggio nel cristianesimo antico, in «Vetera Christianorum» 36 (1999).



 

 

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