BROOKLYN BRIDGE
STORIA DEL PRIMO ponte SOSPESO CON
CAVI D’ACCIAIO, SIMBOLO DI NEW YORK
di Matteo
Liberti
Il 17 maggio 1884 i newyorkesi
poterono osservare uno spettacolo
oltremodo originale: un elefante di
nome Jumbo, dal peso record
di oltre sei tonnellate, a spasso
sul ponte di Brooklyn, seguito da
altri 20 elefanti, 7 cammelli e 10
dromedari. Gli esotici animali erano
stati messi a disposizione dal noto
imprenditore circense Phineas Taylor
Barnum, e il loro ruolo era di
“collaudatori” del ponte. Quella
monumentale struttura sospesa,
all’epoca la più lunga al mondo, era
infatti stata inaugurata da poco
meno di un anno, e dopo
un’accoglienza entusiastica i
cittadini avevano iniziato a
dubitare della sua tenuta. Già in
passato, peraltro, erano stati in
pochi a credere possibile la
realizzazione di tanta meraviglia
ingegneristica. In mezzo a quei
pochi, c’era l’immigrato tedesco John
Augustus Roebling, di professione
ingegnere e con il pallino dei ponti
sospesi. È a lui che si deve la
nascita del simbolo per eccellenza
della Grande Mela, “immaginato” in
un gelido giorno del 1852.
Necessità impellente
Nel corso dell’Ottocento capitò
spesso, durante gli inverni più
rigidi, che l’East River, il fiume
che divide l’isola di Manhattan
dall’area di Brooklyn (all’epoca due
cittadine distinte), si ghiacciasse,
rendendo impossibile
l’attraversamento. E in
quell’inverno del 1852, a rimanere
bloccato per ore su un traghetto in
mezzo al ghiaccio fu, tra gli altri,
proprio John Roebling, assieme al
figlio quindicenne. Fu in
quell’occasione, rivelerà poi il
ragazzo, che il padre si mise in
testa di erigere un maestoso ponte
che liberasse i newyorkesi dalle
limitazioni del maltempo. All’epoca,
erano tra l’altro già molti gli
abitanti di Brooklyn che lavoravano
a Manhattan, costretti ogni giorno
ad attraversare l’East River su
imbarcazioni lente e disagevoli. Le
cose proseguirono così ancora per
alcuni anni, finché nel gennaio 1867
una nuova gelata tornò a fermare i
traghetti, inducendo le istituzioni
locali a emanare finalmente un
disegno di legge per la costruzione
di un ponte. A gestire l’impresa
sarebbe stata la neonata “New York
Bridge Company”, assieme a
un’omologa compagnia di Brooklyn.
Per la direzione dei lavori e la
stesura del progetto si pensò
naturalmente a Roebling, che aveva a
curriculum varie strutture sospese
in tutto il Nord America (tra cui la
prima dotata di ferrovia, presso le
cascate del Niagara) e che da quel
1852 non aveva smesso di pensare a
un grande ponte sull’East River.
Progetto ambizioso
Il Brooklyn Bridge, primo ponte
sospeso con cavi d’acciaio,
materiale simbolo della “seconda
rivoluzione industriale”, si
prospettò da subito come l’opera
ingegneristica più imponente
dell’epoca. Il progetto prevedeva
l’edificazione di due grandi torri
in stile neogotico, di circa 85
metri di altezza (quando i palazzi
più alti di Manhattan superavano di
poco i 10 metri), da realizzare con
calcare e granito. Tali strutture,
erette presso i lati del fiume e
collegate alle rispettive sponde,
avrebbero sostenuto una campata di
circa mezzo chilometro. A tenere il
tutto “in tiro”, una serie di enormi
cavi d’acciaio. Quanto alle misure
finali, la larghezza del ponte
avrebbe superato i 20 metri e la
lunghezza complessiva i 1.800 metri.
Un progetto davvero ambizioso, tanto
più che bisognava fare i conti con
la particolare conformazione del
fondale dell’East River, talmente
fangoso e sabbioso che era
impossibile prevedere a quale
profondità si trovasse il fondo
roccioso utile a sorreggere l’enorme
struttura del ponte. John Roebling
mantenne tuttavia sempre vivo il
proprio ottimismo, e nel 1869, dopo
l’attenta revisione di ogni
dettaglio, i lavori poterono
iniziare. Solo che, all’improvviso,
il caparbio ingegnere morì.
Affare di famiglia
A Roebling fu fatale un incidente
capitatogli a giugno, mentre era su
una banchina sulla sponda di
Brooklyn, urtata da un traghetto in
fase di attracco. Nella collisione,
l’ingegnere si ferì a un piede e i
medici dovettero amputargli le dita,
ma Roebling si ammalò poi di tetano
e il 22 luglio 1869, all’età di 63
anni, si spense per sempre. Non però
il suo sogno: la responsabilità del
progetto venne infatti assunta dal
figlio Washington, ormai
trentaduenne, anch’egli ingegnere.
Al suo fianco, la moglie Emily
Warren.
L’inferno dei cassoni
La prima fase del progetto prevedeva
dunque lo scavo del fondale
dell’East River ed era forse la
parte più ardua. Di certo, quella
che fece più vittime. Molti operai
furono infatti colpiti dalla
cosiddetta “malattia dei cassoni”,
che nei casi peggiori poteva portare
a paralisi se non addirittura al
decesso. Alla base di tutto vi erano
le condizioni infernali in cui si
lavorava. Gli operai agivano infatti
all’interno di grandi cassoni
pneumatici in legno, versione
extralarge delle tradizionali
campane subacquee. Questi, aperti
alla base, venivano adagiati sul
fondo del fiume, vi si immetteva poi
aria compressa, affinché l’acqua
fuoriuscisse, e tramite apposti
condotti i lavoratori vi si calavano
dentro per scavare, mentre al di
sopra si andava costruendo la torre
(una volta raggiunta la profondità
giusta, il cassone sarebbe stato
riempito di calcestruzzo, fungendo
da fondamenta). Ebbene, oltre a
ritrovarsi stipati in spazi angusti,
con temperature e umidità
soffocanti, gli operai soffrirono
gli sbalzi di pressione durante le
risalite dal letto dell’East River,
iniziando appunto a patire la
“malattia da decompressione”, o “dei
cassoni”, derivante dalla formazione
di embolie nel circolo sanguigno, al
pari di quanto accade ai subacquei
quando riemergono troppo
velocemente, senza fare pause di
decompressione. Il lavoro nei
cassoni (posizionati alla fine a una
profondità di una dozzina di metri
su lato di Brooklyn e di oltre venti
su quello di Manhattan) terminò nel
1872, non prima che si ammalasse
anche Washington Roebling, risalito
un giorno troppo in fretta dopo un
giro di controllo.
Indomita Emily
Il figlio del compianto John perse
in poco tempo l’uso delle gambe,
ritrovandosi costretto su una sedia
a rotelle, ma anche in questo caso
l’ambizioso progetto del ponte
proseguì nella sua attuazione,
stavolta grazie a Emily Warren
Roebling, la caparbia sposa di
Washington. Quest’ultimo, armato di
cannocchiale, supervisionava i
lavori dalle finestre della sua casa
a Brooklyn, mentre lei, ricevendone
quotidianamente i dispacci con le
indicazioni per gli operai,
coordinava sul campo l’esecuzione
del progetto, studiando nel
frattempo testi di ingegneria
civile. Divenne così la prima donna
“capo cantiere” che la Storia
ricordi. Nonostante il presentarsi
di nuove difficoltà tecniche e il
ripetersi di incidenti d’ogni genere
(alla fine si conteranno oltre venti
decessi), nel 1876 furono ultimate
le torri, con i relativi ancoraggi
alle sponde, e nell’aprile 1883 fu
completata la grande campata
centrale, la cui lunghezza finale si
assestò sui 486 metri. Emily
ufficializzò a quel punto la fine
dei lavori, che avevano impegnato un
totale di circa 600 operai, e
annunciò la prossima inaugurazione
del ponte, fissata per il 24 maggio
1883. All’evento partecipò una folla
sterminata, e la prima a camminare
sul Brooklyn Bridge fu proprio
Emily, seguita da 150.000 curiosi.
Per l’occasione, si svolse anche una
regata, e la festa fu chiusa da uno
spettacolo di fuochi d’artificio che
illuminò a giorno il nuovo skyline
newyorkese.
Unione decisiva
Poco tempo dopo l’inaugurazione, un
episodio di isteria collettiva
rallentò il successo del ponte. Un
giorno, tra un gruppo di persone che
vi transitavano, si sparse la voce
che la struttura stesse crollando, e
la gente, in preda al panico, iniziò
a correre per mettersi in salvo,
travolgendo chi cadeva a terra.
Morirono in 12, ed è proprio per
indurre i newyorkesi ad avere
nuovamente fiducia nel ponte che,
nel 1884, giunse lo show degli
elefanti di Barnum (per lui
un’eccezionale operazione di
marketing). Da allora, il ponte
entrò definitivamente nel cuore di
tutti, e la storica “unione” delle
sponde dell’East River fu
l’antipasto di quanto avvenne nel
1898, quando un provvedimento detto
“accorpamento”, o “consolidation”,
unì sul piano istituzionale
Manhattan a Brooklyn e ad altre
realtà cittadine limitrofe (Bronx,
Queens e Staten Island), dando vita
all’odierna metropoli di New York.
Peraltro, il ponte-simbolo della
città aveva all’epoca un nome
diverso da oggi. All’inizio fu
infatti chiamato “New York and
Brooklyn Bridge”, divenendo poi
“East River Bridge” e solo nel 1915
“Brooklyn Bridge”. Nel 1964 è stato
quindi dichiarato monumento storico
nazionale, mentre in precedenza, nel
1951, vi era stata posta una targa,
tuttora visibile ancora oggi, in
omaggio all’impegno di John Augustin
Roebling e dei suoi cari. La dedica
principale è per Emily. Tra le altre
cose, vi è infatti inciso: “Dietro
ogni grande opera possiamo trovare
l’altruismo di una donna”.