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N. 8 - Gennaio 2006

ANTE GOTOVINA

Per alcuni criminale, per altri eroe

di Laura Novak

 

Era il 1995, quando la Croazia concluse il suo percorso di guerra durato quasi 5 anni.

 

Ma prima di uscirne e curarsi le numerose e preoccupanti ferite, decise di scatenare, il 4 agosto 1995, un attacco a sorpresa contro i secessionisti di etnia mista serbo-croata che, nella regione occidentale della Slavonia e della Krajina, avevano occupato il territorio per annettersi automaticamente alla nuova Repubblica Federale Jugoslava.

 

Tra il 4 agosto e il 15 novembre 1995 l’esercito croato, insieme a milizie mercenarie e combattenti per la liberazione della Croazia, cominciarono attacchi serrati contro le forze armate serbe e i civili della zona.

 

Al comando di questa operazione, soprannominata “Oluja” (Tempesta), vi era il comandante croato Ante Gotovina.

Ante Gotovina nacque il 12 ottobre 1955  in una piccola isola della Croazia. Come tutti i ragazzi della sua generazione, tentò, con innumerevoli mezzi, di abbandonare la povertà e l’isolamento politico e culturale della dittatura di Tito; prima con una piccola barca a remi insieme ad un amico, e poi con un treno, che non riuscì però a portarlo a destinazione: l’Italia.

 

Si imbarcò allora, come marinaio, a bordo di un mercantile che faceva da spola tra Stati Uniti ed Europa. La sua esperienza di mare durò, però, solo un anno. A 18 anni imboccò la via della sua vita: le forze armate. Si arruolò in Francia nella Legione Straniera, dove, dopo 5 anni, ricopriva già la carica di paracadutista operativo in uno dei reggimenti più esclusivi della Legione.

 

Nel 1978 partì per lo Zaire, in quel momento minacciato dai ribelli, dove la Legione Straniera era impegnata nel rimpatriare degli europei, bloccati nel paese dallo scoppio della rivoluzione.

E qui che strinse amicizia con Dominique Erulin, paracadutista come lui, fratello di uomo molto illustre all’interno del reggimento, il colonnello Erulin. Gotovina diventò a questo punto il braccio destro e la guardia del corpo personale del Colonnello.

 

Nel 1978 con il grado di caporale-capo lasciava la Legione Straniera, subito dopo aver chiesto regolarmente la nazionalità francese con relativo passaporto.

E’ qui che la vita di Ante Gotovina subì un cambiamento. Diventò agente in grosse compagnie di sicurezza, di stanza a Nizza, che servivano in realtà come copertura per Agenzie di Servizi impegnate in azioni espressamente politiche.

L’ambiente che frequentava in quel periodo era composto per lo più da ex legionari come lui, da spie, e militanti neo-fascisti.

 

Ufficialmente la KO International, per la quale lavorava, era una società di body-guards specializzati in sicurezza personale di figure di spiccata importanza, come per esempio Jean- Marie Le Pen; in realtà offriva competenze specifiche per missioni pericolose in Medio Oriente e o in Sud America. Diventò così un mercenario, impegnato in operazioni militari, spesso in appoggio a forze conservatrici in situazione di attacco al loro potere. Le autorità francesi iniziarono in questi anni a occuparsi di lui, indagando su eventuali sue implicazioni in traffici di droga e armi tra l’America del Sud, l’Italia e la Francia, senza mai trovare però prove del suo coinvolgimento.

 

Nel 1990 decise di tornare in Croazia, la sua patria. Fu un richiamo probabilmente dettato dalla situazione che stava andando a profilarsi nei Balcani.

 

La guerra era ormai molto vicina e la tensione era al limite.

 

Entrò subito nell’Esercito e ricominciò, come fu per la Legione Straniera, la sua scalata. Diventò Comandante di distretto nella zona di Spalato; in realtà, secondo il Tribunale dell’Aja, nel 1995, Gotovina aveva sotto il suo comando la maggior parte delle forze armate croate in quel momento impegnate nella guerra.

 

L’operazione “Tempesta”, da lui guidata, diventò un caso internazionale. Secondo il Tribunale Internazionale penale per l’Ex Jugoslavia (ICTY), durante la permanenza nella Krajina, il comandante Gotovina si sarebbe macchiato di gravi crimini di guerra, tra cui: espulsioni forzate di 200.000 civili serbi-croati, che si sarebbero rifugiati in Bosnia-Herzegovina e in Serbia, omicidi di massa (si parla di 150 serbi mai ritrovati), punizioni corporali e torture contro militari e civili della zona.

 

Sempre in relazione all’agosto del 1995, l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa), l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati politici e Amnesty International

dichiarano che dei 300.000 serbi espulsi dalla Croazia durante la guerra, 200.000 passarono il confine proprio nell’agosto del ’95, e di questi, ad oggi, solo 117.000 sono tornati in Serbia.

 

Dopo la denuncia dell’ ICTY, il 21 maggio 2001, il Tribunale Internazionale dell’Aja, lo stesso che ha incriminato Milosevich, spiccò un mandato di cattura per il Comandante Ante Gotovina con l’accusa di crimini di guerra. Secondo il mandato di cattura, l’incriminato avrebbe depredato, saccheggiato decine di villaggi della zona, con uccisioni in massa anche di donne e bambini. Si legge testualmente: “ tra il 4 agosto il 15 novembre, Ante Gotovina, agendo individualmente e/o in concerto con altri rappresentanti in associazione criminale, pianificò, istigò, ordinò, perpetrò o favorì (…) la persecuzione della popolazione serba nella regione meridionale della Krajina.(…).”

Dal 2001 Ante Gotovina divenne però latitante.

 

Nei 4 anni che sono seguiti le ipotesi sul luogo di latitanza sono state innumerevoli.

 

Secondo alcune fonti la maggior parte di questi ultimi anni li avrebbe passati tra la Francia e la Croazia. Questo perchè, godendo ancora della nazionalità francese, pochi mesi prima della sua incriminazione del 2001, il Ministero degli Esteri della Croazia gli avrebbe rilasciato un nuovo passaporto francese. Secondo la procuratrice Capo del Tribunale dell’Aja, Carla Del Ponte, questo è il segno che il comandante ha ricevuto in molte occasioni appoggi dallo stato croato; in particolar modo si darebbe colpa all’omertà della polizia croata e al governo Tudjman che avrebbero coperto non solo la fuga di Gotovina, ma anche i suoi innumerevoli passaggi per la Croazia. Carla Del Ponte ha asserito con fermezza che in questi anni non ci sono stati sforzi sufficienti da parte del governo croato per arrivare alla cattura di Gotovina.

 

Questo potrebbe essere spiegato dal grande sostegno popolare di cui gode a tutt’oggi Gotovina in patria. In Croazia infatti si sono formate associazioni e gruppi per la sua difesa, numerosi siti Internet, di cui uno creato da lui stesso, che lo ritraggono come un eroe nazionale, e in più di una occasione, sotto elezioni, le città, soprattutto della Dalmazia dove ha tenuto servizio, sono state tappezzate da cartelloni inneggianti la sua figura di salvatore della patria. E’ quindi comprensibile come un governo in via di elezione non abbia potuto alienarsi simpatie del popolo, arrestando un uomo considerato dai cittadini un vero Eroe.

 

Numerosi giornali croati nazionali, come il “Jutarnji List” e il “Nacional”, hanno pubblicato interviste choc all’ex-comandante, che, raggiunto nella sua latitanza, asseriva di non aver mai compiuto atti criminali contro l’umanità, e che esisteva da parte sua la volontà di andare all’Aja, ma solo in seguito ad una sospensione del mandato di cattura. Secondo Gotovina da indiziato sarebbe passato ad incriminato senza avergli dato la possibilità di dimostrare la sua estraneità ai fatti.

 

Il nuovo governo Mesic ha tentato, nell’ultimo anno, con ogni mezzo, di dissipare i dubbi della Procuratrice Carla Del Ponte relativi alla permanenza latitante di Gotovina in Croazia, dimostrando di voler collaborare su ogni fronte alla sua cattura. La Croazia, ha dichiarato spesso il suo presidente, non è a conoscenza del luogo dove Gotovina si nasconderebbe. Il cambiamento di rotta del governo Mesic sulla questione Gotovina è in linea con la possibile integrazione della Croazia all’Unione Europea. Nell’aprile del 2005 l’Unione Europea ha però bloccato, sotto la pressione dell’Aja, le trattative con il governo di Mesic, in attesa di un più concreto aiuto dell’intelligence croato alla cattura del latitante.

 

Secondo invece altre fonti, Gotovina sarebbe stato per molto tempo rifugiato in un convento croato o bosniaco sotto la tutela dello Stato del Vaticano.

Carla del Ponte ha ammesso, in un’intervista al “Daily Telegraph” pubblicata nel settembre di quest’anno, di aver cercato un colloquio ufficiale con il pontefice numerose volte attraverso il suo portavoce Navarro Valls, per aver chiarimenti circa questa ulteriore pista, senza aver mai però ricevuto riscontro. La procuratrice asseriva che questa possibilità era da ritenersi verosimile, considerando quanto la Croazia sia un baluardo importante di cattolicesimo per il Vaticano.

 

Immediata la smentita della Santa Sede in cui si valutano le dichiarazioni della procuratrice inaccettabili, e si ricorda che già in passato, forze della Nato, in vista di questa eventualità, avevano effettuato controlli in massa nei conventi della campagna bosniaca, senza nessun risultato.

Voci su voci hanno dato adito, nel corso degli anni, a possibili collusioni del comandante con la mafia siciliana o la camorra, soprattutto nel campo del traffico di droga, mafia che gli avrebbe poi garantito protezione; hanno ipotizzato che molte delle personalità, per cui aveva prestato servizio in passato, lo avrebbero nascosto in località del Sud America. Tutte ipotesi ma nessuna certezza.

 

Ma oggi, 8 dicembre 2005, con grande sorpresa di tutta la stampa internazionale, una certezza è apparsa. Ante Gotovina, latitante da quasi 5 anni, è stato arrestato nella località turistica di Playa Des Las Americas a Tenerife (Isole Canarie).

 

Secondo l’agenzia spagnola “EFE” la polizia nazionale, che ha effettuato l’arresto, ha individuato il comandante in un hotel della località e lo ha subito arrestato. E’ dalla stessa Carla Del Ponte, in visita a Belgrado, durante una conferenza stampa odierna, che si apprende la notizia. Secondo la procuratrice, la coadiuvazione delle forze croate con quelle spagnole hanno avuto finalmente successo, dopo mesi di ricerca proprio in Spagna. Trasferito immediatamente a Madrid, si aspetta un successivo rimando dell’incriminato all’Aja, dove, davanti al Tribunale, dovrà rispondere delle sue imputazioni.

 

E il mondo ora si aspetta, proprio dalla bocca dell’ex generale, la sua verità. Si aspetta delle spiegazioni verosimili su chi lo ha protetto, su chi sapeva e non ha parlato. E forse, dopo dieci anni, si arriverà ad una giustizia.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

www.repubblica.it

www.amnesty.it (comunicato stampa del 04/08/2005)

www.osservatoriobalcani.it

www.resistenze.org

www.corriere.it

www.ansa.it/balcani

www.un.org/icty/indicment/english/got-ii010608e.htm

 



 

 

 

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