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                          N. 12 - Maggio 2006 
                          
                          ALESSANDRO 
                          MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA 
                                  
                                  
                                  L’Egitto (332-331 a.C.) 
                                  
                                  – Parte VIII 
                          di 
                          Antonio Montesanti 
                            
                           
                            
                          Dopo aver domato gli infidi Fenici e i tenaci Filistei e 
                          non aver mostrato alcuna forma di compassione, 
                          Alessandro era perfettamente consapevole di 
                          immergersi, per un periodo piuttosto lungo, in un’oasi 
                          di serenità, rispetto alle campagne passate, che 
                          avrebbe consentito a lui e al suo esercito di 
                          dedicarsi a loro stessi: l’Egitto. 
                            
                          La satrapia d’Africa era davvero l’unica, insieme a quelle 
                          ioniche d’Asia Minore, a non aver mai sopportato il 
                          giogo persiano; una figura come quella di Alessandro 
                          sarebbe stata vista in maniera totalmente differente 
                          rispetto al misconosciuto monarca asiatico. 
                           
                            
                          Gli Egiziani avevano bisogno di un essere, più che una 
                          persona, che fosse presente, che avesse origini divine 
                          e che soprattutto riconvertisse le entrate verso il 
                          loro paese e che non sfruttasse i sudditi disperdendo 
                          i loro tributi.  
                            
                          Non vi era nessun ostacolo tra il macedone e la terra dei 
                          faraoni. La flotta persiana era stata debellata, Dario 
                          stava pensando a riorganizzare se stesso e l’esercito, 
                          il satrapo, Sabace, era morto a Isso e il suo 
                          rimpiazzo, Mazace, si precipitò a rendere tutti gli 
                          onori al suo nuovo signore.  
                            
                          Gli Egiziani, erano pronti ad accogliere il Conquistatore 
                          come un liberatore dal giogo persiano, poiché vi era 
                          tra Persiani e Egizi una sorta di contrasto, forse 
                          storico, per le imprese frustranti dei principi 
                          persiani nei riguardi di questo popolo o per 
                          interpretazione divina. Certamente il tributo di 700 
                          talenti richiesto dall’erario persiano erano poca cosa 
                          per questo paese, il cui grano sembra venisse mietuto 
                          tre volte in un anno, per essere un alibi ai contrasti 
                          tra queste due nazioni. 
                            
                          Prima di entrare nella terra bagnata dal Nilo, ed assumere 
                          il controllo della nuova satrapia, Alessandro mandò 
                          una spedizione di reclutamento in Macedonia, guidata 
                          dal comandante di falange Aminta, figlio di Andromene. 
                          All’indomani di assedi durissimi durati quasi un anno, 
                          erano necessarie all’esercito forze fresche e 
                          soprattutto commilitoni che riportassero una ventata 
                          di patria dall’Ellade. Aminta doveva fare ritorno in 
                          Egitto in poco più di un anno, scegliere con 
                          accuratezza le forze e dargli i primi insegnamenti 
                          necessari ad un addestramento duro come era quello del 
                          falangita. Non era un problema militare era una 
                          questione di morale.  
                            
                          Se i diversi mesi intercorsi tra Isso e l’arrivo ai confini 
                          dell'Egitto, da una parte avevano fiaccato le forze, 
                          dall’altra avevano dato la possibilità ad Alessandro 
                          di preparare con cura un ingresso trionfale e privo di 
                          spargimento di sangue.  
                            
                          La voglia di entrare in quella terra mistica, affascinante, 
                          spinse il giovane Re a procedere velocemente, non a 
                          marce forzate, ma a ritmo sostenuto e questa volta ciò 
                          era possibile poiché la flotta poteva provvedere ai 
                          rifornimenti, non essendo più disturbata da quella 
                          persiana. 
                            
                          Nel novembre del 332 a.C., dopo sette giorni venne coperta 
                          la carovaniera (che è la stessa che viene usata oggi) 
                          di circa 200 chilometri che separava Gaza dal confine 
                          e da Pelusio (attuale Tell Farama), prima 
                          cittadina egiziana lungo la foce del Nilo. 
                            
                          L'esercito entrò in Egitto senza incidenti, e la flotta 
                          potè entrare nel porto di Pelusio, la prima grande 
                          città-fortezza che sorgeva sul ramo all'estremità 
                          orientale del Delta, che da sempre aveva rappresentato 
                          per l'Egitto la prima fortezza difensiva, da dove 
                          venivano respinte o affrontate tutte le invasioni e da 
                          ultime quelle persiane di IV secolo. 
                            
                          La prima forma di resistenza i macedoni l’avrebbero 
                          incontrata proprio lì qualora l’Egitto si fosse loro 
                          opposto all’ingresso. 
                            
                          Le più rosee previsioni sulla sua accoglienza non sarebbero 
                          state rispettate; Alessandro venne accolto in Egitto 
                          trionfalmente, in qualità di liberatore; gli Egiziani 
                          confluirono a Pelusio dalle campagne per salutare 
                          Alessandro come un liberatore. La sua permanenza in 
                          questa regione che doveva corrispondere a poco più che 
                          una gita di piacere priva di connotazioni militari; 
                          piuttosto si sarebbe potuta complicare per questioni 
                          diverse da quelle belliche.  
                            
                          Da qui la flotta entrò nel Delta iniziando la risalita del 
                          fiume; Alessandro guidava parallelamente le sue forze 
                          di terra fino a Eliopoli, e attraversato il fiume 
                          giunsero alla capitale Menfi, dove, il popolo assetato 
                          di una guida, di un monarca, lo accolse addirittura 
                          come un faraone. Mazace, l'ultimo satrapo persiano, 
                          non poteva fare altro che atto formale di 
                          sottomissione e consegnare la capitale, il tesoro e le 
                          insegne reali intatte nelle mani del nuovo regnante. 
                            
                          Alessandro era un attento osservatore, un misuratore di 
                          masse e di entusiasmi. Egli riusciva a capire, ad 
                          intuire, l’umore delle persone, figuriamoci quelle 
                          delle masse. L'accoglienza era stata superiore alle 
                          migliori aspettative, calda, sincera ed effettiva.
                           
                            
                          Iniziò col celebrare un sacrificio in onore di tutti gli 
                          dèi, tra cui anche il toro Api. Il giovane monarca 
                          dedicava una festa che aveva caratteristiche 
                          tipicamente elleniche, in cui vennero istituiti degli 
                          agoni ginnici e musicali nei quali si confrontarono i 
                          più affermati artisti e atleti del mondo greco. Una 
                          delle doti che costituivano la grandezza del re era 
                          quella di creare un’osmosi culturale, religiosa, 
                          politica e soprattutto sociale: il dio Api venne 
                          incluso nella celebrazione per rispetto nei confronti 
                          della religione locale e quindi del popolo egiziano.
                           
                            
                          Alessandro, inoltre conosceva la storia, l’aveva studiata e 
                          la continuava ad usare come un’armata, ben più forte 
                          del suo esercito; era consapevole degli eventi e della 
                          realtà storica che aveva assimilato, correggendo tutti 
                          gli errori commessi dai suoi predecessori: ricordava 
                          che ambedue i conquistatori achemenidi dell'Egitto, 
                          Cambise e Artaserse III, si erano resi responsabili 
                          delle uccisioni dei tori consacrati ad Api, gesto che 
                          deteneva un’alta carica simbolica, evidenziando il 
                          contrasto esistente tra il nuovo monarca e i suoi 
                          predecessori persiani.  
                            
                            
                              | 
                               Cambise 
                              
                              Figlio di Ciro il Grande, primo re dei Persiani e 
                              dei Medi, unificatore degli scettri di Iran, 
                              Anatolia e Impero di Babilonia, alla morte del 
                              padre, volle ampliare le conquiste paterne 
                              occupando l’Egitto. Prima di partire si assicurò 
                              il trono uccidendo segretamente il fratello 
                              Bardiya (meglio conosciuto con il nome greco di 
                              Smerdi), temendo che potesse usurpare il regno 
                              durante la sua assenza. 
                              
                              Nel 525 a.C., l’esercito persiano vince Psammetico 
                              III a Pelusio, con la collaborazione del generale 
                              greco Fanes, disertore dell'esercito egizio, 
                              entrando a Menfi. Mesutira Kamebet nome con cui 
                              viene acclamato faraone dallo stesso clero di Sais, 
                              dopo la conquista dell’Egitto,
                              regnò per due anni, fondando la XVII Dinastia. 
                              
                              Pur essendo faraone, considerò la sua conquista 
                              come una satrapia dell'Impero Persiano e ne affidò 
                              il governo al satrapo Ariane (Aryandes) per 
                              potersi dedicare a tre progetti militari che 
                              dovevano avere come base di partenza l'Egitto 
                              stesso: la conquista della Nubia, una spedizione 
                              verso le nel Deserto Libico e la conquista di 
                              Cartagine. In Etiopia e in Libia Cambise riportò 
                              gravissime perdide, soprattutto nella seconda, 
                              alla ricerca di Siwaa, che lo portò a perdere 
                              l’intero esercito, la terza non ebbe neppure 
                              inizio a causa del rifiuto della flotta fenicia, 
                              ad attaccare una loro colonia.  
                              
                                
                              
                              In seguito a questi fallimenti il re persiano 
                              impazzì iniziando a comportarsi con efferrata 
                              crudeltà. Erodoto narra che la follia lo portò a 
                              sacrificare il sacro toro Api e ad ucciderlo con 
                              le sue mani, che gli costò l’additamento come 
                              profanatore. 
                              
                              Udjahorresne, un consigliere egiziano al servizio 
                              dei Persiani, convinse Cambise a costruire un 
                              fastoso sarcofago, conservato nel serapeum 
                              di Saqqara, ad onorare la dea Neith e a dedicare 
                              una statua alla sua vittima: onori che non 
                              basteranno al re persiano a stemperare l’odio 
                              degli Egizi verso i Persiani stessi. 
                               
                              
                                
                              
                              Per questo nel 522 a.C., Cambise sarà costretto a 
                              partire dall'Egitto come n fuggitivo. Morirà 
                              durante il viaggio di ritorno verso la capitale 
                              Susa a causa di un complotto. 
                                |  
                              | 
                              
                              Artaserse III Ochos 
                                
                              
                              Figlio di Statira e Artaserse II Mnemone, occupa 
                              il trono nel 358 a.C. Durante il suo difficile 
                              regno (358-338 a.C.) annientò la famiglia reale, 
                               sedò le ribellioni dei satrapi e combatté e 
                              devastò l’Asia Minore, la Fenicia e la Siria.
                               
                              
                              Nel 341 a.C. vince in battaglia il faraone 
                              Nectanebo, ridusse nuovamente l’Egitto a satrapia 
                              persiana e decretando formalmente, e per sempre, 
                              la fine dell'indipendenza egizia. 
                               
                              
                                
                              
                              Artaserse, faraone e iniziatore della XXXI 
                              Dinastia,  si macchiò degli stessi sacrilegi di 
                              Cambise, abbattendo le mura delle città più 
                              importanti, saccheggiando e derubando i maggiori 
                              santuari del paese, prelevando una enorme quantità 
                              d'oro e d'argento, portando via anche i documenti 
                              scritti, che verranno riconsegnati in seguito dal 
                              suo successore, ai sacerdoti, dietro il pagamento 
                              di ingenti somme.  
                              
                              Dopo aver nominato Ferendate come satrapo, rientrò 
                              a Babilonia, portando con sé tutti i beni e i 
                              trofei rubati al nemico. Nel 338 a.C. verrà 
                              avvelenato dal suo intimo amico e potente eunuco 
                              egiziano Bagoa; il suo posto verrà preso dal 
                              figlio minore Arses. |    
                          Certo rimane il fatto che non era intenzione di Alessandro 
                          introdurre un rito esotico all’interno dei rituali 
                          ellenici, ma la sua si può definire una forma 
                          rispettosa dei luoghi nei quali si trovava (come aveva 
                          fatto a Sardi e a Tiro) verso le divinità che ogni 
                          volta venivano identificate con quelle olimpiche.
                           
                            
                          La visita al toro di Api all’interno del suo santuario o 
                          all’immenso tempio funerario di Saqqara, si devono 
                          piuttosto interpretare come una curiosità innata, una 
                          forma di conoscenza paraempirica a base aristotelica 
                          e, come nel caso del toro, una voglia di rivisitazione 
                          del passato, in quei luoghi in cui erano avvenute 
                          azioni memorabili che avevano cambiato il corso della 
                          storia. A Saqqara dopo la morte i tori erano venivano 
                          mummificati, e dopo essere stati conservati ricevevano 
                          l'adorazione dei fedeli come un'unica entità che ogni 
                          volta riviveva sempre in Osiride-Api (Wsr-Hp), 
                          principe degli inferi.  
                            
                          Una volta acclamato faraone, Alessandro ricevette le stesse 
                          definizioni che avevano avuto tutti i suoi 
                          predecessori: figlio e prescelto da Ra, prediletto da 
                          Amon, dio che si manifesto al pari di Horus e 
                          ovviamente signore dell'Alto e del Basso Egitto.
                           
                          La cerimonia di incoronazione, benché venga messa in 
                          dubbio, avvenne certamente a Menfi. Tuttavia la 
                          permanenza nella capitale fu breve; un’importanza ben 
                          maggiore rivestiva il santuario di Ammone nell'oasi di 
                          Siwah. 
                            
                          
                          Il figlio di Ammone 
                          
                          
                            
                          Inebriato del trattamento ricevuto, 
                          
                          il pio Alessandro decise di recarsi 
                          presso l’oracolo di Ammone per farsi rivelare il 
                          proprio destino. 
                          L’oracolo, che si trovava nel deserto Libico presso 
                          l’attuale oasi di Siwa, era 
                          celeberrimo anche al mondo greco; il santuario 
                          centrale 
                          riceveva offerte e deferenze e fin dal 
                          V secolo a.C.
                          era centro di pellegrinaggio, 
                          
                          considerato dai Greci al pari di quello delfico 
                          (Hdt. III, 25.3 - 26.3).   
                          Infatti il dio libico Ammone era una manifestazione locale 
                          di Zeus, come risulta chiaro dai frammenti lasciati 
                          dallo storico-filosofo Callistene.
                          Era il primo dei tre  grandi oracoli 
                          da cui parlava Zeus, che s’interfacciava con quelli 
                          che si trovavano in Ellade,il primo nella regione da 
                          cui proveniva la madre Olimpiade, a Dodona in Epiro, 
                          mentre il secondo ad Afitide nella Calcifica. Qui si 
                          trovavano templi omonimi in cui il dio libico era 
                          rappresentato adornato con corna spiraliformi di 
                          montone. 
                          
                            
                          Alessandro doveva essere stato imbevuto di quel culto si da 
                          piccolissimo, ad opera della madre, che gli aveva 
                          inculcato il fardello della discendenza diretta da 
                          Zeus: i suoi antenati, Eracle e Perseo, erano stati 
                          pellegrini ed adoratori nell’oasi ammoniana (Call. 
                          FGrH 124 fr. 14a, Arr. III, 3.1-2, Curz. Ruf. IV, 
                          7.8). 
                            
                          Il carisma che Alessandro esercitava sui suoi uomini, 
                          grazie al quale riceveva da loro una dedizione 
                          assoluta, gli derivava in parte dalla sua stessa 
                          convinzione che lui fosse figlio di Zeus Padre. 
                            
                          Cercava sempre il confronto e le sfide, in quella 
                          commistione tra emulazione e superamento del limite, 
                          che magari ad altri non erano riuscite, sfatando miti 
                          e leggende inaccessibili agli esseri umani, volle 
                          riproporre la sfida che Cambise non era riuscito a 
                          compiere, perdendo nell'impresa 50.000 uomini: 
                          desiderava ardentemente attraversare i 550 chilometri 
                          di deserto da 
                          
                          Paretonio (Mersah Matruh), fino 
                          all’oasi occidentale di Siwa, non passando per le 
                          carovaniere più facili e moderne da Cirene e da Menfi, 
                          ma tagliando in modo avventato: la sfida avrebbe 
                          conferito in questo modo un'aura di indefinita 
                          immortalità.  
                            
                          Dopo gli onori e le brevi escursioni a Menfi e nella 
                          Tebaide, s'imbarcò per ridiscendere il Nilo, con un 
                          contingente di fanteria leggera, navigando fino al 
                          braccio occidentale verso la bocca canopica. Li rimase 
                          impressionato dalle potenzialità dello stretto istmo 
                          tra foce e mare che ospitava la stazione portuale di 
                          Racotide sulle rive del lago Mareotide. Quel punto 
                          sarebbe stato il luogo destinato alla grande 
                          fondazione di Alessandria, ma ciò sarebbe avvenuto 
                          dopo la formalizzazione del suo status 
                          iperuranico.  
                          
                          
                            
                          
                          
                          Prendendo una strada abbastanza inconsueta e poco 
                          frequentata, Alessandro giunse 
                          
                          alla città di Paretonio 
                          
                          sulla costa libica. Dopo circa 290 km 
                          la spedizione giunse al villaggio di Apis, 
                          che a sua volta distava 260 km da Siwa. 
                          Qui si fermò brevemente per accogliere 
                          una delegazione da Cirene, venuta a offrire ricchi 
                          doni tra cui alcuni carri da guerra con relativi 
                          cavalli, che lo invitava a visitare il territorio. 
                          
                          
                            
                          Ma per il momento al macedone non interessava quel 
                          territorio e l’azione fu limitata ad un approccio 
                          diplomatico, con la stipula di un trattato di pace e 
                          di alleanza. La Cirenaica (Libia Orientale) non 
                          avrebbe fatto parte del suo impero, ma ormai la sua 
                          attenzione verso quest’area del Mediterraneo era stata 
                          attirata. Forse fu proprio in questo momento che si 
                          concretizzarono le prime idee di conquista in quel 
                          settore. 
                            
                          Proseguì velocemente dunque la marcia verso sud. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Da questo punto, il viaggio da semplice pellegrinaggio 
                          si trasformò in un’avventura: nella depressione di Qattara la situazione si complicò, non solo per il 
                          clima torrido del deserto, ma anche perché la guida, 
                          non abituata a quella strada, si smarrì 
                          e il Re col suo seguito rischiò di perdersi nel 
                          deserto. 
                          
                          
                          Ammone, non potendo abbandonare il suo più famoso 
                          pellegrino e, secondo Plutarco 
                          (Plu., 
                          Alex. 27 e Rom. Alex I, 30), 
                          mandò una pioggia abbondante e due corvi a indicare la 
                          giusta strada nel deserto cancellata 
                          dal vento proveniente da sud. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Giunto finalmente 
                          al 
                          santuario, 
                          Alessandro ricevette alcune interessanti rivelazioni 
                          circa la sua nascita e il suo destino, che pur 
                          rimanendo ufficialmente segrete, presero ben presto a 
                          circolare, e furono via via rivelate da Alessandro: 
                          l’oracolo lo benedì col suo nuovo titolo di faraone, 
                          figlio di Ammone e signore invitto del mondo intero.
                           
                            
                          Il procedimento oracolare era molto particolare a tratti 
                          bizzarro ed era rimasto inalterato, come riportano le 
                          fonti papiracee, almeno sin dal periodo del faraone 
                          Psammetico I (664-610 a.C.). All’interno della più 
                          profonda ed oscura camera del santuario, Ammone non 
                          era rappresentato come una divinità antropomorfa, così 
                          come la intenderanno i Greci almeno due secoli più 
                          tardi, con le caratteristiche corna d'ariete, bensì si 
                          trattava di una pietra a forma umbelicata all’interno 
                          della quale vi erano incastonati una serie di 
                          smeraldi.  
                          Al momento in cui veniva posta la domanda, 80 sacerdoti 
                          sollevavano la pesantissima portantina dorata a forma 
                          di nave su cui si trovava. L’ondeggiare dell’intera 
                          sovrastruttura ed il vasto repertorio di movimenti 
                          assegnavano il sema e il responso divino.
                           
                            
                          Alessandro si recò all’interno del naos templare 
                          senza il suo seguito e solo pose i suoi quesiti ed 
                          ottenne le sue risposte. I dettagli rimarranno per 
                          sempre oscuri.  
                            
                          Sappiamo solo che rimase profondamente soddisfatto del 
                          responso e delle risposte ricevute. Un particolare 
                          sembra comunque assodato, alla sola vista dell’Argeade, 
                          il sacerdote l’appellò manifestatamene come figlio del 
                          dio.  
                            
                          
                          
                          Lo scrittore che alcuni considerano uno 
                          Pseudo-Callistene, 
                          nel suo racconto lo considererà figlio di Zeus (e 
                          quindi di Ammone) 
                          anziché di Filippo; 
                          e sembra che sia opera sua la storia fatta circolare 
                          nel paese occupato in quel periodo: 
                          
                          Nectanebo, ultimo faraone cacciato da Artaserse III 
                          nel 343 a.C., si sarebbe diretto alla corte macedone, 
                          dove, assunto, grazie alla magia, l’aspetto del Dio 
                          Ammone, avrebbe messo incinta Olimpiade. 
                          
                          
                            
                          Alessandro celebrerà l’epifania di semi-dio solo al termine 
                          del suo regno. La cosa più importante è che aveva 
                          trovato a Siwa la più sacra e solenne delle conferme a 
                          questa convinzione.  
                            
                          Una volta ottenuto il benestare divino, che confermava ciò 
                          che era avvenuto in terra, Alessandro tornò 
                          immediatamente a Menfi, stavolta seguendo la via più 
                          semplice e non prima di fermarsi ad ammirare la 
                          spettacolare “Sorgente del Sole» ('Ain el Hamman)… 
                          
                          
                            
                          
                          
                          La fondazione di Alessandria (novembre 332-gennaio 331 
                          a.C.)  
                          
                          
                            
                          
                          
                          Durante la sua immersione nelle sabbie egiziane 
                          Alessandro aveva potuto riflettere a lungo su 
                          questioni differenti da quelle belliche. Probabilmente 
                          rifletté sul fatto che l’Egitto era un paese ricco, 
                          sacro, mistico ma profondamente chiuso in se stesso e 
                          che i suoi commerci erano spesso stati affidati a 
                          mercanti fenici e che quindi non aveva un contatto 
                          diretto col resto del Mediterraneo. L’unico emporio 
                          greco che era stato concesso alla koinè Ellenon 
                          e che veniva tollerato si trovava nella piccola città 
                          di Naucrati, lungo un ramo secondario del Delta.
                           
                          
                          
                            
                            
                              | 
                              
                              Naucratis
                              o Naukratis 
                              
                              
                                
                              
                              
                              Antico centro commerciale greco in 
                              Egitto, fondato dagli abitanti di mileto sulla 
                              riva destra del braccio canopico a 
                              
                              meno di venti chilometri a 
                              occidente del Nilo di Rosetta, 
                              probabilmente ai tempi di
                              Psammetico I 
                              (VII secolo a.C.). Verso il 560 a.C., con Amasis, 
                              il successore, i milesii ottengono  la concessione 
                              di commerciare liberamente. Riconvertito in centro 
                              commerciale panellenico, o porto franco, venne 
                              fondato l'Ellenion, il maggior santuario, voluto 
                              dalle città di Chio, Tea, Focea, Clazomene, Rodi, 
                              Cnido, Alicarnasso, Faselide e Mitilene. Inoltre 
                              gli egineti avevano costruito un tempio di Zeus, i 
                              samii uno di Era, i milesi un santuario di Apollo. 
                              Le tasse erano versate direttamente al tempio di 
                              Neith a
                              Sais. 
                              Patria di Ateneo, le sue rovine sono state 
                              individuate presso Nebireh, sul canale Abou-Dibab, 
                              a 75 km a SE d’Alessandria. |  
                          
                          La caduta di Tiro aveva abbattuto definitivamente il 
                          “monopolio” fenicio in oriente, Naucrati ormai era 
                          stata annullata dall’ingerenza persiana ed era 
                          necessaria una grande base cosmopolita, in cui i Greci 
                          si fondessero con gli Egiziani in un porto in grado di 
                          essere recettore economico, culturale e artistico, in 
                          grado di soddisfare una richiesta di domanda/offerta 
                          commerciale notevole.  
                          Ritornato nei pressi della costa da Siwa, durante il 
                          viaggio di ritorno a Menfi, ripercorse la strada fino 
                          alla bocca canopica del Nilo e, su una delle isole del 
                          Delta, diede ordine di dare inizio alla cerimonia di 
                          fondazione della città di Alessandria. 
                          
                          
                            
                          La data di inaugurazione per la creazione del perimetro 
                          cittadino, sarà celebrata nel periodo romano il 7 
                          aprile (25 Tybi secondo il calendario egizio). 
                            
                          Alessandro decise, e sovrintese personalmente lungo la 
                          spiaggia, la demarcazione del perimetro del futuro 
                          centro della città portuale sotto le sue indicazioni 
                          che si proponeva dovesse divenire per lo meno la 
                          capitale economica del paese. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          La capacità di vedere ‘avanti’, permise ad Alessandro 
                          di valorizzare un luogo apparentemente inospitale alla 
                          foce del braccio occidentale del Delta del Nilo, su un 
                          sottile tombolo terroso, tra il Mare e la palude 
                          Mareotide. In questo luogo, prospiciente all’omerica 
                          isola di Faro (Pharos) venne fondata 
                          Alessandria. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il Macedone diede solamente l’incipit ai lavori che 
                          furono poi lasciati ad una squadra di architetti al 
                          comando di Dinocrate, che disegnò e concepì la pianta 
                          secondo criteri rigorosamente geometrici. La città era 
                          dotata di due enormi strade, due assi viari larghi 
                          ortogonali, entrambi più di 30 metri, su cui si basava 
                          l’intera struttura urbanistica della città, uno, 
                          quello detto “Via Canopica”, considerato il più 
                          importante era perfettamente orientato in senso E-O. 
                          La “Via Canopica” era affiancata da altre sei grandi 
                          arterie, tre per lato, parallele, mentre la sua 
                          intersezione era fiancheggiata da 15 traverse minori 
                          che arrivavano fino al mare. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Da qui si dipartiva un molo che avrebbe collegato la 
                          riva alla prospiciente isoletta di Faro, su cui 
                          sarebbe sorta una delle sette meraviglie del mondo; 
                          l’ingegneria militare che aveva concepito e realizzato 
                          la costruzione del molo per la conquista di Tiro, 
                          venne impiegata per un’opera d’ingegneria civile 
                          edile.  
                          
                          
                          Il molo avrebbe avuto un nome, “Eptastadion” 
                          (lungo sette stadi), in questo modo si dotava la città 
                          anche di una banchina d’attracco che garantiva la 
                          possibilità che almeno uno dei due lati fosse sempre 
                          sottovento, mentre l’isola di fronte, ampliata e con 
                          il riferimento notturno al di sopra, era al tempo 
                          stesso un frangiflutti portentoso ed un riferimento 
                          nella notte.  
                          
                          
                            
                          
                          
                          Non sappiamo se sarà lo stesso Alessandro a progettare 
                          quelle opere che sotto Tolemeo I, avrebbero dato alla 
                          città gloria, onore e ricchezza per i secoli a venire, 
                          anche se dobbiamo pensare che per alcuni di essi 
                          l’impronta del Generale fu evidente: il grande canale 
                          del Nilo, l’acquedotto, la biblioteca e il faro. 
                          
                          
                            
                          Pochissimi giorni di marcia dopo, risalendo la corrente del 
                          Nilo raggiunse Menfi. Lì lo aspettava l'esercito, 
                          rinfrancato dall'inverno passato nella valle del Nilo 
                          davanti al quale offrì un sommo sacrificio a Zeus, la 
                          divinità che nell’oasi di Siwa lo aveva proclamato suo 
                          figlio, laddove 
                          
                          il sacerdote oracolare non solo lo aveva acclamato 
                          come figlio di “Amon” ma gli aveva promesso anche il 
                          dominio del mondo intero allora conosciuto. 
                           
                          
                          
                            
                          La propaganda o l’autoconvinzione, o solo l’ingraziamento 
                          del popolo egizio, portarono il giovane Re a 
                          immergersi totalmente nelle cerimonie indossando vesti 
                          egizie e abbracciando il loro cerimoniere. 
                            
                          
                          
                          Bisogna anche considerare che mentre per un Greco era 
                          una cosa eccezionale essere considerato figlio di una 
                          divinità, per gli Egizi era naturale considerare il 
                          faraone incarnazione di Horus e figlio di Ammone.
                           
                          
                          
                            
                          
                          
                          Con questa conferma, ottenuta in terra straniera, 
                          accadeva per la prima volta dopo un millennio che una 
                          persona semimitica fosse considerata figlio di una 
                          divinità. Dopo Eracle, lui era il primo ad essere nato 
                          da Zeus e quindi in Grecia dopo un millennio era 
                          rinato un semidio e quindi una personalità dalle 
                          caratteristiche iperuraniche. 
                            
                          Il Monarca riservò all’Egitto un trattamento del tutto 
                          particolare. Non venne considerato una provincia come 
                          le altre: 
                          
                          non venne nominato un governatore Macedone o un 
                          satrapo di tipo persiano, come per le altre regioni. 
                          Vennero nominati due governatori autoctoni, Petisi e 
                          Doloaspi, e solo l’amministrazione finanziaria venne 
                          affidata ad un mezzo-greco, Cleomene di Naucrati.
                           
                          
                          
                            
                          
                          
                          A uomini macedoni e greci, figure di secondo piano, 
                          rimanevano solo le cariche militari e l’assegnazione 
                          di 4000 uomini di guarnigione divisi in due 
                          tranches: a Peuceste, figlio di Macerato, andò il 
                          Basso Egitto, mentre a Balacro, figlio di Aminta, il 
                          governatorato militare dell’Alto Egitto. 
                          
                          
                            
                          
                          
                          A nessuno dei nobili vennero concesse delle terre o 
                          cariche governative di un certo valore. L’Egitto 
                          diveniva quasi un possesso privato di Alessandro, 
                          amministrato da autoctoni estremamente di fiducia o da 
                          persone caratterialmente malleabili, manovrabili o 
                          deboli. Alla potente nobiltà macedone non rimaneva 
                          davvero nulla 
                          
                          
                            
                          
                          
                          Il fattore divino e quello governativo non erano privi 
                          di conseguenze politiche. 
                          Probabilmente alcuni militi Macedoni e Greci, in particolar 
                          modo quelli più anziani, non videro di buon occhio l’autoproclamazione 
                          divina non considerando il re un dio: 
                          
                          i veterani iniziavano ad innervosirsi delle questioni 
                          umane e divine poiché definirsi figlio di Ammone 
                          avrebbe implicato l’estromissione di Filippo, che era 
                          venerato tra di loro. 
                            
                          I soldati, abituati a trattare il loro signore come un loro 
                          pari, gli chiesero se si considerasse un uomo o un 
                          dio. Alessandro li riassicurò sul fatto che lui stava 
                          solamente abbracciando la cultura locale che 
                          considerava divina la natura del faraone. Questa 
                          risposta non diede la convinzione degli eventi e delle 
                          intenzioni a tutti...  
                          
                          
                            
                          
                          
                          L’irritazione ancora maggiore per i Macedoni dovette 
                          venire dalle decisioni di Alessandro riguardo 
                          l’amministrazione della nuova provincia e alle mancate 
                          assegnazioni di cariche e terre.
                           
                            
                          Nella primavera del 331 a.C. la spedizione s’incamminava 
                          nuovamente verso l’Asia. Ora Alessandro doveva solo 
                          pensare a rendere più sicura la situazione alle sue 
                          spalle prima di andare nuovamente in contro a Dario 
                          che avrebbe dovuto incontrare nello scontro finale. 
                            
                          Dal deserto del Sinai si diresse ancora lungo la costa 
                          mediorientale e rientrò a Tiro dove prese le decisioni 
                          che lo avrebbero fatto partire per la spedizione nel 
                          cuore della grande Asia: nominò un tesoriere in Siria; 
                          rimosse le guarnigioni da Chio e da Rodi, poiché
                          
                          
                          la conquista dell'Egitto aveva eliminato il pericolo 
                          persiano dal Mediterraneo; 
                          
                          come ultimo atto, rinviò gli opliti ancora in ostaggio 
                          dal Granico ad Atene.  
                            
                          Questi tre atti sancivano definitivamente la certezza delle 
                          proprie azioni e delle proprie conquiste che aprivano 
                          allo scontro diretto con Dario. |