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N. 25 - Giugno 2007

le 366 fosse di Ferdinando Fuga

Conoscere per salvaguardare

di Antonio Pisanti

 

Nell’articolo pubblicato nello scorso numero di InStoria, ho ribadito il ruolo della conoscenza della storia,  della cultura e dell’informazione locali per il recupero dell’identità dei luoghi, minacciata dalla sempre più pervasiva avanzata della cosiddetta globalizzazione.

 

Quest’anno, il  Maggio dei monumenti a Napoli ha inteso soffermare l’attenzione su un aspetto particolare della cultura napoletana e meridionale, legato a credenze, rituali e culti che affondano la loro origine nella notte dei tempi, precedendo le stesse sovrapposizioni indotte dai sopraggiunti riti paleocristiani.

 

In una più ampia accezione di “beni culturali” è, infatti, da comprendere tutto l’ampio patrimonio di tradizioni, usanze, abilità, attività tipiche di una località e testimonianze storiche che non devono essere necessariamente materiali o monumentali perché la loro conoscenza e salvaguardia possano contribuire ad alimentare quelle radici dalle quali dipende la sopravvivenza (di senso) del presente e del futuro.

 

Così, per quanto riguarda i “monumenti”, non ci sono solo i Decumani, Napoli museo aperto e l’eccellenza delle grandi opere d’arte, ma c’è anche il piacere della riscoperta di opere poco note, di capolavori nascosti e di siti da rivalutare e da salvare.

 

Non ci sono solo quelli che abbiamo definito “revival per grandi imprese”, ma anche la necessità di interventi, magari  meno faraonici e meno costosi,  da sollecitare a beneficio di strutture il cui valore di testimonianza storico-culturale non è da meno perché possano meritare l’attenzione di amministratori e cittadini ed essere riscattate dal loro stato di deplorevole abbandono.

 

Ed è anche per tali motivi che riferiamo della visita organizzata, nell’ambito delle attività previste per il Maggio dei Monumenti 2007, al Cimitero delle 366 fosse dalla Società Cooperativa Medici “Medi.co”. La società, che ha curato con differenziate competenze la manifestazione in ogni suo aspetto, a gratuito beneficio dei circa quattrocento visitatori, tra l’altro, “ha lo scopo di valorizzare le risorse artistico-culturali partenopee che hanno contribuito all’evoluzione verso il benessere e la salute della città moderna”.

 

Ben-essere, ripetiamo ancora una volta, che ha quanto mai bisogno di essere recuperato e connotato verso quelle componenti etico-sociali che restituiscano ai quartieri e alla città quelle caratteristiche identitarie e di convivialità che solo il senso di un’appartenenza condivisa può concorrere a recuperare.

 

I partecipanti all’evento hanno avuto modo di apprezzare l’articolato programma di interventi finalizzati ad illustrare sotto i molteplici aspetti la natura del sito e a contestualizzarne l’istituzione nell’epoca storica di riferimento e in quella che da alcuni studiosi è stata definita, non a caso, la “politica sociale” ante litteram perseguita dai Borbone nel ‘700 e oltre, sotto l’influenza della cultura illuministica napoletana. Tale politica dell’intervento pubblico per il buon governo (dalla culla alla tomba, si direbbe oggi!) fu avviata egregiamente con la costruzione dell’Albergo dei Poveri (1751) e, appunto, del Cimitero delle 366 fosse (1762) e vide nelle Manifatture di San Leucio (1789) un’interessante esperienza di organizzazione sociale ispirata alle teorie più avanzate dell’epoca. Tra le altre opere di pubblica utilità sono da ricordare anche i Cantieri navali di Castellammare (1773),  i Granili (1799) e la prima Ferrovia d’Italia (1839).

 

Il Cimitero delle 366 fosse comuni  - tante quanti potevano essere  i giorni dell'anno, bisestili compresi -  è uno dei primi siti di sepoltura extra moenia della città e si trova a monte dell'attuale corso Malta, nei pressi della vecchia Centrale comunale del latte, in una zona di difficile accesso per chi non ne abbia conoscenza, dove estremo è il degrado ambientale e delle condizioni di sicurezza. Non a caso la Medi.co ha curato anche il trasporto dei visitatori sul posto.

 

Quattro relazioni, brevi ed essenziali, hanno illustrato ai visitatori il sito nei suoi aspetti architettonici-ambientali e nella sua rilevanza socio-urbanistica.

 

Il prof. Vito Cappiello, ordinario di Architettura del Paesaggio ed Infrastrutture territoriali presso l’Università di Napoli “Federico II”,  dopo aver sottolineato il ruolo svolto dalla dinastia borbonica nel farsi promotrice dello sviluppo della città, ha evidenziato l’importanza paesaggistica della collina di Poggioreale e le connotazioni architettoniche e simboliche del recinto delle 366 fosse:  una zona – ha detto Cappiello – ricca di testimonianze storico-ambientali non sufficientemente conosciute e degna di una maggiore cura non solo da parte delle autorità competenti, ma anche degli stessi napoletani.

 

La dott. Claudia Pizzi, direttore scientifico della srl Medi.co, si è soffermata poi sugli aspetti innovativi nel campo medico tra la meta del ‘600 e la fine del ‘700  e sulla funzione degli ospedali in quanto luoghi pubblici  di cura e di assistenza  per le classi più bisognose. Ha ricordato l’emergenza verificatasi a Napoli in seguito all’epidemia di peste del 1656, emergenza che pose il problema della necessità di un intervento pubblico per la cura degli ammalati e la predisposizione di strutture idonee ad accoglierli,  non solo per l’assistenza medica, ma anche per limitare la diffusione del contagio.

 

Il dott. Antonio Spinoso, presidente della Medi.co, ha illustrato l’influenza della cultura illuministica sugli studi e sull’attività medica dell’epoca, evidenziando la crescente importanza  del ruolo assunto dalla medicina  anche attraverso i suoi nuovi strumenti di conoscenza e di indagine. Ha rievocato le figure di due luminari, Domenico Cotugno e Domenico Cirillo, che diedero un contributo determinante per la lotta contro il vaiolo, la tisi e la tubercolosi e dalla cui pratica professionale scaturì l’istituzione di reparti di isolamento nell’Ospedale degli Incurabili per cercare di contenere le  epidemie più  contagiose.

 

L’architetto Pierluigi Pizzi ha tratteggiato le condizioni ambientali del sito nella metà del ‘700, dove l’unico manufatto edilizio nella allora verde collinare di Poggioreale era la Chiesa di Santa Maria del Pianto, costruita nel 1657 in prossimità della Grotta degli Sportiglioni che, per far fronte alle necessità conseguenti all’epidemia, fu adibita a fossa collettiva di sepoltura. Pizzi ha ricordato la struttura originaria del Cimitero delle 366 fosse, voluto dai Borbone e progettato da Ferdinando Fuga con le sue caratteristiche di architettura semplice e funzionale,  soffermandosi anche sulle strutture sottostanti.

 

Le quattro relazioni erano state precedute dalla presentazione del monumento in lingua inglese e spagnola, svolte rispettivamente dalle dott. Giustina De Blasio e Gabriella Maggio. L’evento si è concluso con uno spettacolo teatrale in tre quadri, nel corso del quale figure di cantastorie dell’epoca hanno rievocato le vicende legate alle epidemie di peste e di colera, anche attraverso la suggestiva messa in scena delle “anime pezzentelle” delle vittime narranti.   La compagnia di Ino Fragna ha offerto ai presenti ulteriori e divertiti spunti di riflessione sulla Napoli popolare del ‘700, grazie all’efficacia della rappresentazione, animata, oltre che dallo stesso Fragna, da Giorgio Borrelli, Antonio Mariniello, Pino Pinto e Stefania Zinno.

 

Al termine,  i visitatori-spettatori sono stati riaccompagnati ai rispettivi pullman, grazie anche all’assistenza della dott. Giuseppina Parisi, manifestando, oltre i già tributati applausi, il loro apprezzamento per un’esperienza che va ripetuta, per il piacere di altri visitatori e per quanti dovrebbero rivolgere la loro attenzione alla Napoli da salvare e alla riqualificazione urbana delle zone circostanti.

 

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