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N. 12 - Dicembre 2008 (XLIII)

GIOVANI, UMILI, POTENTI: IL ‘68
Chi “fa” la storia?

di Giovanna D’Arbitrio

 

In questi ultimi tempi il ’68 è stato più volte citato sia per la protesta degli studenti contro la recente riforma scolastica, sia per la vittoria di Obama.
Senza dubbio i vichiani corsi e ricorsi storici sono sempre riscontrabili nelle vicende umane, tuttavia le connotazioni di un’epoca imprimono diversità inconfutabili ai comportamenti di persone e popoli.


L’attuale contestazione giovanile, fenomeno tra l’altro solo italiano, è in realtà una difesa molto pragmatica del diritto allo studio in vista di un futuro inserimento nel mondo del lavoro, difesa dettata dall’osservazione di problematiche attuali, molto preoccupanti. Disoccupazione, precarietà, lavoro interinale e lavoro nero, crisi economica e recessione non sono “virtuali”! Non a caso sono scesi in piazza anche genitori e docenti, per protestare contro i tagli indiscriminati sulla Scuola Statale. E poi molti si chiedono perché non si debba cominciare a “tagliare” gli enormi sprechi della “Casta”. Potrebbero cominciare loro a dare il buon esempio!


Ritornando al ’68, esso fu invece una vera e propria rivoluzione culturale dei giovani di tutto il mondo contro un sistema autoritario in politica, nella società, a scuola, in famiglia.
è difficile giudicare gli anni ’60 ed è pertanto sbagliato sia esaltarli che addebitare ad essi tutti i mali del presente: non abbiamo raggiunto ancora il giusto “distacco” per esaminare il fenomeno con obiettività.


Come in tutte le rivoluzioni che si rispettino, ci furono eccessi, estremismi, pestaggi, violenze e morti. Tanti giovani, tuttavia, allora pensarono veramente di poter cambiare il mondo con gli ideali di libertà, pace, democrazia, istruzione estesa a tutte le classi sociali, lotta per i diritti dei lavoratori, presa di coscienza dei gravi problemi legati alla condizione femminile, difesa dei diritti umani e civili di popoli e razze.

 

Indubbiamente dei risultati importanti furono raggiunti, ma poi chi inquinò e chi ancora oggi continua ad inquinare quegli ideali? Chi costantemente spegne il desiderio di rinnovamento che hanno i giovani di tutte le epoche? Quanti giovani di quei tempi sono stati integrati ed omologati e forse oggi sono diventati i peggiori denigratori di quegli anni? Quanti, purtroppo, diventarono terroristi?


è difficile dare una risposta a queste inquietanti domande. Credo, infatti, che ognuno abbia vissuto il ‘68 in modo diverso a seconda dell’età, della classe sociale, del suo particolare modo di essere.

 

Ci fu il ‘68 dei giovani studenti borghesi, descritti da B. Bertolucci nel film The dreamers, quello delle classi più umili e degli operai, costretti a lavori alienanti, evidenziati da E. Petri in La classe operaia va in paradiso, quello dei laceranti contrasti in famiglia, narrati dal recente Mio fratello è figlio unico di D. Lucchetti, quello dei genitori e professori contestati e disorientati, che non riuscirono a comprendere gli eventi, e così via.

 

Anche la sottoscritta, benché fosse allora molto giovane, non sa dare risposte adeguate alle suddette domande, avendo vissuto gli anni ’60 in un modo molto diverso da altri che frequentavano ancora le scuole superiori o l’università.

 

Nel ’68 mi sono sposata regolarmente in chiesa, con tradizionale abito bianco ed interminabile predica di zio Stefano, frate domenicano e cugino di mio padre; già insegnavo in una scuola media statale di un quartiere povero e pertanto mi confrontavo con una dura realtà quotidiana. Ero, e sono tuttora, una persona tranquilla, di idee moderate, eppure non potei respingere il fascino di ideali così positivi. Essi, infatti, mi sono serviti per avvicinarmi di più ai miei alunni, per insegnare in modo più creativo, per dialogare anche con ragazzi più difficili e comprenderne i problemi, conquistandomi stima e affetto.

 

Molte insegnanti, donne come me, seriamente impegnate nel proprio lavoro (nella scuola siamo sempre state tante per i bassi stipendi!) non hanno certo preteso un rispetto tradizionalmente inteso come imposizione dell’autorità legata al ruolo, ma quello derivante da un’autorevolezza guadagnata sul campo.

 

Abbiamo utilizzato, inoltre, le nuove idee per stabilire anche in famiglia rapporti diversi, basati su dialogo e collaborazione, considerandoci mogli non certo inferiori ai mariti, lottando poi per le pari opportunità non solo tra uomo e donna, ma anche, in senso lato, per tutti i nostri alunni, per tutti gli esseri umani, rifiutando, infine, intolleranze, grette chiusure mentali e cupi dogmatismi religiosi, pur non rinunciando alla fede in Dio.


Senza dubbio i cambiamenti positivi sono conquistati sempre con processi lenti e faticosi, lacrime e sangue.


Chi, dunque, “fa” la storia? Molti hanno tentato di dare una risposta a questa difficile domanda.


Elsa Morante nel suo commovente romanzo, La Storia, ci mostra gli umili, le persone comuni, come costanti perdenti: essi subiscono la storia che è solo un perpetuo ripetersi di guerre, ingiustizie, egoismi e sopraffazioni. Una visione pessimistica, non manzoniana, non illuminata della fede in un progetto divino.


Forse la soluzione va cercata a metà strada tra queste due interpretazioni della storia, una soluzione che potrebbe essere accettata da tutti coloro che credono in scelte “etiche”, anche se purtroppo sono atei.


I potenti impongono decisioni e noi ci illudiamo di partecipare ad esse attraverso democratiche elezioni, almeno nei paesi più liberi, ma in realtà gli eventi storici spesso ci travolgono e noi non possiamo evitarli. All’interno di questo schema, tuttavia, ci rimane almeno la libertà di “reagire” agli avvenimenti, scegliendo di arrenderci o di lottare, di assecondare il sistema o di contrastarlo con soluzioni diverse e cambiamenti.


Amir, il personaggio creato da K. Hosseini nel romanzo Il Cacciatore di Aquiloni, in un Afghanistan dilaniato da guerre, contrasti tra pashstum e azara, sunniti e sciiti, riesce a vincere la sua lotta individuale contro i condizionamenti di un’educazione sbagliata, discernendo tra verità e menzogna, amicizia e tradimento, coraggio e paura, fino a riscattarsi e ritrovare rispetto ed amore per se stesso e per gli altri.


Forse anche Obama per molti “cacciatori di aquiloni” rappresenta il cambiamento, il riscatto, ma se “il sogno” legato a lui dovesse svanire, le nostre personali responsabilità nella scelta tra bene e male continueranno ad essere una realtà.

 

 

 

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